l'appuntamento
I “quadroni” e lo “scurolo” di San Carlo, per la sua festa un Duomo tutto da scoprire
Come ogni novembre torna in Duomo “il gran teatro di San Carlo”: le cinquantasei imponenti tele che descrivono vita e miracoli di Carlo Borromeo e che i milanesi, fin dalla prima loro apparizione in Cattedrale, battezzarono “i quadroni”
Come ogni novembre torna puntuale in Duomo “il gran teatro di San Carlo”, uno spettacolo da non perdere. Parliamo delle cinquantasei imponenti tele che descrivono vita e miracoli di Carlo Borromeo (1538-1584) e che i milanesi, fin dalla prima loro apparizione in Cattedrale, battezzarono, semplicemente, “i quadroni”. Commissionati dalla Veneranda Fabbrica del Duomo in occasione della beatificazione di Carlo Borromeo, avvenuta il 4 novembre 1602, furono ispirati dal di lui cugino, il dotto cardinal Federico – quello raccontato dal Manzoni e che, tra le altre cose, fonderà la Pinacoteca Ambrosiana – e portano la firma degli artisti lombardi più in vista dell’epoca. Da allora la Veneranda Fabbrica si applica a fine ottobre nelle complesse operazioni di montaggio e dal 4 novembre, festa di San Carlo, ecco che i “teleri” appaiono ben visibili a chiunque si trovi tra le campate della cattedrale.
Di San Carlo, che a Milano fu arcivescovo dal 1560 fino alla morte, riformatore nel solco del Concilio di Trento, infaticabile primatista nelle visite pastorali in lungo e in largo per la sua ampia diocesi, sostenitore dell’assistenza ai più deboli negli anni bui della carestia (1569-70) e soprattutto durante la rovinosa peste (1576-77), i teleri raccontano agiograficamente parole e opere (inclusa la volta in cui, proprio per combattere il morbo, attraversò a piedi nudi la città, brandendo una croce con la reliquia del Santo Chiodo: cosa che i virologi di oggi mon apprezzerebbero).
Da sabato e fino al 6 gennaio entrare nella nostra Cattedrale sarà un po’ come farsi un giro nelle sale di un museo dedicato al glorioso Seicento lombardo: l’impatto delle tele, se non le avete mai viste prima, è piuttosto impressionante, e del resto i lavori più importanti sono lunghi sei metri e larghi quasi cinque. I “quadroni” sono infatti divisi in due cicli, di ventotto tele ciascuno: il primo, quello con i teleri dalle dimensioni più grandi, è dedicato alla vita del santo ed è stato realizzato da pittori lombardi come il Cerano (sua la drammatica Visita agli appestati, una delle tele più belle) e poi ancora da Paolo Camillo Landriani detto il Duchino, dai Fiammenghini (soprannome dei fratelli Giovan Battista e Giovanni Mauro della Rovere), da Carlo Buzzo e Domenico Pellegrini.
Poi c’è il ciclo che si concentra sui miracoli del Borromeo: le tele sono più piccole (3,60 per 2,40 metri), ma le firme restano prestigiose. Al Cerano si affianca, tra gli altri, il vivace Procaccini e queste loro opere vanno a unirsi ai due teleri appesi sul Grande Organo e dedicati rispettivamente alla nascita e alla glorificazione di San Carlo (gli unici due ad essere esposti permanentemente in Duomo).
Questo novembre c’è poi anche dell’altro da ammirare, sempre nel segno di San Carlo. Si potrà infatti tornare a vedere e a omaggiare il corpo del santo. Domani pomeriggio la visita dell’arcivescovo Mario Delpini allo “scurolo” del Duomo segna infatti la fine dei restauri durati più di due anni del luogo dove sono custodite le spoglie del Borromeo. Lo scurolo di San Carlo si trova sotto il presbiterio della cattedrale, proprio accanto alla cripta, ed è uno spazio che fu progettato già nel 1606 dal geniale Francesco Maria Richini, sempre su commissione del cardinale Federico che non lasciava mai nulla al caso.
Chiuso al pubblico di visitatori e pellegrini ben prima della pandemia, dopo un doveroso restauro e la necessaria ripulitura torna ora fruibile, ennesima gemma d’arte all’interno della cattedrale ambrosiana (per le visite bisogna però aspettare sabato 11). L’ambiente è raccolto, la pianta ottagonale: le pareti sono decorate in marmo e da pannelli in tessuto su cui è ricamato il motto Humilitas tanto caro alla famiglia Borromeo. Prestate attenzione ai decori in argento: per completare l’opera furono necessari cinquant’anni di lavoro e la generosità degli orefici milanesi, oltre ai tanti denari di conti (sempre i Borromeo), cardinali (come Alfonso Litta) e, in perfetta tradizione ambrosiana, alle offerte di molti semplici cittadini affezionati a San Carlo, che nel cuore dei milanesi è secondo solo a Sant’Ambrogio.