GRAN MILANO
Dove vai Canestra? Ipotesi sul viaggio (un po' misterioso) di Caravaggio dall'Ambrosiana ad Asti
L'opera-icona della Pinacoteca Ambrosiana partirà un mese prima di Natale e tornerà una settimana dopo Pasqua. Qualche sopracciglio alzato tra gli addetti ai lavori
Eppur si muove. La Canestra di frutta, capolavoro di Caravaggio che il cardinal Federigo si teneva stretto, partirà un mese prima di Natale e tornerà una settimana dopo Pasqua, quattro e rotti mesi lontano da quella Sala 1 della Pinacoteca Ambrosiana di cui è opera-icona, in ottima compagnia con il Codice Atlantico e il Ritratto di Musico di Leonardo e il formidabile cartone della Scuola di Atene di Raffaello. Settimana prossima percorrerà 130 km per fermarsi a Palazzo Mazzetti di Asti perché lì, dal 25 novembre al 7 aprile, sarà la protagonista della mostra La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta che indaga la nascita e l’evoluzione di un genere che proprio Michelangelo Merisi ha rivoluzionato con il capolavoro dell’Ambrosiana.
Il viaggio non poteva passare inosservato. La Canestra di frutta non è un quadro come tutti gli altri e non tanto perché, come forse qualcuno ricorderà, era stampata persino sulle banconote da centomila lire, ma perché come ogni opera toccata dal genio di Merisi è “osservata speciale”. Federico Borromeo la acquistò probabilmente direttamente da Caravaggio e nel 1619 la donò alla Pinacoteca Ambrosiana da lui fondata. Non particolarmente fragile da vedersi negata la possibilità di movimento, nel corso dei secoli il dipinto è rimasto fedele alla sua dimora. Ha viaggiato pochissimo. Nel nuovo millennio ricordiamo tre sole occasioni: la prima, per la mostra su Caravaggio delle Scuderie del Quirinale nel 2010, la seconda nel 2016 per un’esposizione alla Galleria Borghese di Roma su un tema affine alla mostra di Asti e infine nel 2019 a Palazzo Reale della nostra città, per una mostra-monstre curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa (Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza, per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci). Fanno bene quindi da Asti a ribadire l’eccezionalità del prestito per il progetto curato dallo storico dell’arte Costantino D’Orazio. La mostra piemontese non è del resto sprovveduta: conta sul contributo concesso dalla Direzione generale educazione, ricerca e istituti culturali del ministero della Cultura, ha come sponsor la Cassa di Risparmio di Asti, ed è realizzata dalla Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Asti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, e in collaborazione con Arthemisia (vero caterpillar nell’organizzazione di mostre-blockbuster: sono loro gli artefici del successo della mostra, da poco conclusa a Palazzo Reale, su Leandro Erlich, 200 mila visitatori e infinite foto condivise su Instagram).
Tuttavia, è inutile negare che qualche sopracciglio tra gli addetti ai lavori si è inarcato all’idea di prestare un’opera così peculiare per una mostra che non potrà realizzare, se non altro per motivi geografici, grossi numeri. Ne vale la pena? L’Ambrosiana preferisce non commentare (ma se anche si trattasse di un prestito generosamente ricompensato andrebbe sdoganato il concetto, a molti inviso, che è tempo per i musei di affinare le armi per avere liquidità necessaria alla propria sopravvivenza). La presentazione ufficiale della mostra sarà settimana prossima e forse per allora ne sapremo di più, di certo sappiamo – perché qui invece l’azienda interessata si è data da fare per pubblicizzare la cosa – come verrà momentaneamente sostituita la Canestra: dal 22 novembre, nella stessa sala, i visitatori dell’Ambrosiana, con adeguato avviso, si troveranno davanti la DAW Digital Art Work Limited edition di Cinello, che ha brevettato una tecnologia nell’ambito dell’arte digitale. La “nuova Canestra” è un file non riproducibile, un “originale digitale” in scala 1:1, certificato e autorizzato. Verrà lanciato su un monitor ad altissima definizione, inserito in una cornice identica, per dimensione e fattura, all’originale. Un cortocircuito interessante per un’opera che, nella sua plasticità su un fondo monocromo quasi dorato, da più di quattro secoli gioca sull’alternanza continua tra realtà e illusione.