GRAN MILANO

Milano e il rischio di perdersi nei tunnel di una politica senza idee

Fabio Massa

L’allarme di Beppe Sala alla sinistra che governa. Olimpiadi, ricorsi litigiosi, Città metropolitana e altri guai

È parso un fulmine a ciel sereno, il discorso con cui Beppe Sala preannunciava la possibile sconfitta della sinistra alle prossime elezioni amministrative, che saranno sì lontane ma che come il signor de La Palice, che era vivo prima di morire, si avvicinano giorno dopo giorno. Ma siccome il sindaco – per ruolo, per indole e anche a causa della maggioranza di cui è alla guida – è costretto a tenere aperto l’ombrello giorno e notte, su Instagram si è difeso sul tema della sicurezza, uno dei punti dolenti della sua amministrazione: “C’è un’evidente campagna politico-mediatica contro Milano. Chi per calcolo politico attacca Milano fa un danno ai tanti che grazie all’attrattività della città lavorano o comunque costruiscono le basi per la propria vita”. Lasciamo volentieri il giudizio ai cittadini, in attesa che ci si metta d’impegno Franco Gabrielli,  nuovo delegato alla sicurezza del Comune. 


Fine dell’incipit meteorologico, del resto legittimato proprio da Beppe Sala, ha detto di sé stesso di essere “il parafulmine dell’universo mondo”, e con questo intendeva che rimangono così, grazie al suo ruolo, coperti i movimenti carsici, tutti litigiosi ma nascosti, pieni di trappole come i tunnel di Gaza, di una sinistra milanese in cerca di identità. Ma in quella ricerca di identità non c’è nulla di pacifico. Ci sono anzi stilettate continue, una guerra sotterranea che parte prima di tutto dal settore immobiliare e dalla progettazione di quella che sarà la Milano del futuro. E non ci si deve illudere. Il caso di Stefano Boeri, indagato per la vicenda del concorso per la Beic, la costruenda Biblioteca europea di informazione e cultura che dovrebbe essere uno dei fiori all’occhiello nella legacy di Sala,  fa capire qualcosa di quel che si muove sotto. Stefano Boeri viene indagato in qualità di membro di una commissione che doveva selezionare i progetti per la Biblioteca europea, perché secondo gli inquirenti non sarebbe stato compilato un modulo, nel quale Boeri e Cino Zucchi (altro commissario, anche lui indagato), avrebbero dovuto affermare di conoscere alcuni dei partecipanti alla gara. Ovviamente l’accusa è di una insussistenza cosmica: architetti del calibro di Boeri e Zucchi conoscono tutti, e sono conosciuti da tutti. Non basta la conoscenza a presupporre una irregolarità, ovviamente. Secondo alcuni tuttavia questa indagine è la punta dell’iceberg di una marea di esposti che stanno agitando il mondo dell’immobiliare, dei costruttori e degli sviluppatori cittadini. Ogni progetto viene contestato e si prova a farlo finire a carte bollate. I glicini del Museo della Resistenza sono un cortocircuito perfetto, in cui l’antifascismo non sa se schierarsi col museo o coi glicini. Il risultato è un tutti contro tutti allucinante e surreale, dal quale Sala ha dovuto difendersi a fatica. Fulmini che volano da sinistra contro sinistra, e il sindaco al centro a scaricare a terra tutta la tensione, in un periodo nel quale – e questo va detto – manca un progetto forte, di identità e visione, un sogno per Milano come lo fu Expo. 


Le Olimpiadi invernali 2026, che potrebbero esserlo, oltre a essere diventate un poltronificio indegno per la destra e per la sinistra (chi è senza peccato scagli il primo curriculum), non sono minimamente percepite dalla città come un traguardo che le appartiene. Se Expo era stato preceduto da un battage di anni e anni, delle Olimpiadi per le quali mancano poco più di due anni non si parla proprio. Olimpiadi e glicini a parte, c’è la realtà. E la realtà quella di una città che cresce a ritmi vertiginosi, con gli uffici comunali che non ce la fanno a stare dietro alla mole di progetti che vengono presentati. La realtà di una città che diventa sempre più ricca, più costosa, e più esclusiva: dunque più escludente. Manca un vero progetto sulle periferie, ancora oggi, e anche gli architetti “de sinistra” si preoccupano moltissimo dei glicini e di periferia al massimo parlano quando cianciano di quanto è bello il vecchio Meazza a San Siro. 


Di Grande Milano, di Città Metropolitana, praticamente non si parla più tranne quando il Seveso decide di esondare e allagare le strade. Ma i progetti politici, e questo deve essere chiaro soprattutto al Pd che è il partito di maggioranza relativa (e numericamente quasi assoluta) del Consiglio comunale, si devono curare altrimenti muoiono. E su questo, bisogna sottolineare che Beppe Sala è stato chiaro e buon profeta. Infatti il progetto veramente cruciale per il futuro, la cucitura e lo sviluppo della Grande Milano – di cui si parlava già ai tempi di Carlo Tognoli – è definitivamente naufragato, spaccando in due la metropoli milanese più di una pimna dei suoi fiumiciattoli. Da una parte l’interno della 90-91, dall’altra parte le zone semiperiferiche, periferiche e di hinterland. Con sorprese anche a livello di ceto e censo, per chi pensa che Milano non e i comuni dell’hinterland si dividano poveri e derelitti: i dati Aler raccontano che nelle case popolari la morosità, e dunque in modo non direttamente proporzionale la povertà, è assai più alta nel Comune di Milano piuttosto che negli alloggi in provincia. 


Il Consiglio comunale di Milano, intanto, soffre delle sue contraddizioni. Se la maggioranza non riesce ad approvare per due volte (arrivandoci, e divisa, solo in terza lettura) una  mozione sugli ostaggi rapiti in Israele proposta da Daniele Nahum, membro della Comunità ebraica, e se il sindaco viene fischiato, per quanto ingenerosamente, nella Sinagoga, qualcosa vorrà pur dire.  Fuori dal Palazzo Marino, però, la città si muove. A spingerla, oggi come oggi, non è però più la borghesia che ha sempre “illuminato” i cambiamenti metropolitani, uscendo dalle secche di Tangentopoli e producendo nuove stagioni: quella di Albertini e Moratti, quella di Pisapia e del primo Sala. L’immobiliare, per numeri e valori, si muove sulle spalle larghissime dei fondi, che tuttavia non hanno alcuna vocazione meneghina: oggi investono qui, domani di là. L’attore principale e più visibile del panorama resta sicuramente Manfredi Catella, soprattutto dopo la partnership strategica con Banca Intesa. L’istituto di credito si dota di uno sviluppatore per l’area ex Falck di Sesto San Giovanni, una mission quasi impossible. In cambio, Catella smette di vagabondare da un investitore all’altro e ha il gotha della finanza meneghina al proprio fianco in modo sistemico su ogni progetto presente e futuro. Il punto: che cosa vogliono fare i Catella, e gli altri grandi svilupparori (internazionali) attivi nella città, da Hines a Leaseland, dal Trotter all’ex Innocenti  Arexpo? Quali sono le responsabilità etiche che si voglioni e devono assumere? Saranno sviluppatori e basta, che portano benefici e profitto ai propri partner e a sé stesso, oppure si doteranno di una visione complessiva della città. Negli ultimi lustri lo hanno fatto, andando molto spesso a sostituire quella borghesia che un tempo pensava di dover rendere qualcosa alla città che l’aveva fatta diventare benestante e che adesso – invece – si lamenta del progetto dello stadio, dei glicini, di questo di quello, ma non crea progettualità. Oggi in molti sostengono (è quai una moda) che l’immobiliare è una “bolla” nociva per Milano. Anche la politica, però, rischia di diventarlo. E sarebbe peggio.