GranMilano
Solo privati e costruttori pensano in grande per una Milano grande
La città resterà attrattiva, ma il suo destino è espandersi. I casi Merlata Bloom e gli stadi. Politica la vera assente
Contrariamente all’aria che tira, soprattutto sui giornali e sui social (non siamo ancora a “Milano fa schifo”, ma “la narrazione del Place to be è fallita” è una frase fatta che circola già alle scuole medie), Milano continua e continuerà ad affascinare, ad attrarre popolazione – persino in controtendenza rispetto all’inverno demografico – e a crescere. Lo scenario non proprio “worst” di lungo periodo è noto a chi conosca i dati, e lo conferma un’elaborazione statistica del Comune raccontata ieri da Repubblica. A fine 2023 i residenti saranno più di un milione e 410 mila, 15 mila in più del 2022, e tra nuovi arrivi (di ogni tipologia e provenienza) e arresto della curva di mortalità, nel 2039 i milanesi potrebbero crescere fino alla cifra record di un milione e 600 mila. La notizia di esodo biblico è fortemente esagerata. Il problema vero riguarda il “come” Milano crescerà, intendendo con “Milano” per prima cosa i quartieri ancora in via di rivoluzione urbana e nuova edificazione abitativa, sia ancor più la Città metropolitana: ovvero ciò che fa già oggi di Milano una “metropoli compatta” da oltre tre milioni di abitanti. E’ qui che il “modello-premium” – la città globalizzata e a portata solo di ceti e censi alti o altissimi e di investitori stranieri – rischia seriamente di non funzionare più, come spiega in una precisa analisi Dario Di Vico. La “città-premium” continuerà a esistere e crescere, ovvio. Ma per non perdere quelle caratteristiche di coesione sociale e interscambio che sono stati da sempre il vero motore anche economico – e la differenza qualitativa – di Milano occorre guardare oltre, più fuori.
Ed è qui, è piuttosto evidente e GranMilano ha affrontato il tema più volte, che qualcosa si inceppa. E a incepparsi è innanzitutto la politica, incapace di una visione e di una programmazione all’altezza dei dati macroeconomici e persino demografici. Disegnando centri concentrici dal fuori al dentro, il primo livello è dato da un governo regionale poco interessato a una co-gestione dell’area urbana milanese, il secondo cerchio è la difficoltà di una Città Metropolitana che di fatto esiste solo sulla carta – dai trasporti alle infrastrutture alla gestione del territorio; il terzo, e non sapremmo dire se sarà così anche in futuro, in questo momento purtroppo è così, un indirizzo politico della amministrazione del Comune di Milano a dir poco centripeta, interessata solo alla crescita e al buon funzionamento delle sue zone premium. E senza la forza né la fantasia necessarie per provare a immaginare uno sviluppo da “grande Milano”, da vera metropoli.
Ma è qui che, muovendoci un poco sul filo del paradosso (ma nemmeno poi tanto, numeri alla mano) e a titolo di esempi su cui riflettere, si può notare che le vere forze propulsive, e dotate di visione, della città non sono quelle politiche, i partiti e i wannabe comitati per qualsiasi cosa, ma gli imprenditori, i costruttori. Cioè le realtà che non soltanto hanno bisogno di “spazio vitale”, per usare una brutta espressione che in altri tempi indicava ben altre minacce, ma hanno per prima cosa bisogno di trasformarlo, lo spazio. Di solito in meglio.
La scorsa settimana ha inaugurato, nell’area di Cascina Merlata, un grande centro commerciale, il più vasto d’Italia, di nuova concezione non solo in fatto di offerte commerciali, “concept food” e “lifestyle” ma anche di sostenibilità. Si chiama Merlata Bloom. L’area commerciale, su un territorio finora scollegato e con pochi servizi per i cittadini, ha l’ambizione di fare da anello di connessione tra due delle più importanti aree di sviluppo urbano di Milano: il nuovo quartiere residenziale (che comprende anche diverse soluzioni innovative di social housing) e l’area ex Expo su cui sta sorgendo il distretto della scienza MIND e in futuro il campus scientifico dell’Università statale. Di MIND ha parlato GranMilano la scorsa settimana; il boom del progetto immobiliare è detto in poche cifre: già seimila famiglie, soprattutto giovani, si sono trasferite, la metà del totale previsto entro il 2030. I prezzi in rapida ascesa delle case sono la certificazione dell’attrattività. Bene, chi conosca la zona sa che c’è ancora molto da fare anche in chiave di strutture.
I proprietari di Merlata Bloom e gli sviluppatori del progetto – realizzato da Merlata Mall Spa, joint venture tra il gruppo Ceetrus, ImmobiliarEuropea e SAL Service – sanno benissimo che la loro scommessa non è esente da rischi imprenditoriali. Quanti anni ci vorranno per arrivare ai livelli di affluenza necessari, fattore che dipende per prima cosa dallo sviluppo complessivo di un’area post industriale che si espande verso Rho e Pero e verso il Parco Sud ancora in gran parte da ri-urbanizzare? Eppure il terreno era stato acquistato dal precedente sviluppatore per circa 80 milioni, è stata ottenuta nel 2020 l’autorizzazione alla variante da parte del Comune e della Regione Lombardia (non è vero che la politica non agisca, eh) e l’investimento è stato di circa 400 milioni. Ma tra questi milioni, circa 40 sono andati in oneri di urbanizzazione, e 14 serviranno alla costruzione della nuova stazione ferroviaria “Merlata” della circle-line milanese che collegherà il nuovo distretto con il centro. Opere che Comune, Città metropolitana e Regione (per la parte ferroviaria) avrebbero fatto molta fatica a realizzare.
Un altro, più ipotetico, caso riguarda lo stadio Meazza. Follie nimby ed errori politici hanno portato alla nota situazione. Nelle scorse settimane, il Milan ha presentato al Comune di San Donato il progetto per costruire il suo impianto e per l’intero intervento urbanistico, che comprende strutture alberghiere, di intrattenimento e commerciali, collegamenti ciclopedonali e green e in complesso la risistemazione di un’area, a ridosso delle autostrade, oggi fortemente degradata. L’Amministrazione è interessata (del resto, ha spiegato il sindaco, “è un privato che vuole intervenire su un’area di proprietà”), anche perché soldi per altri interventi risolutivi “pubblici” non sono alle viste. Si tratta di un pezzo importante del puzzle della Città metropolitana che potrebbe andare a posto a costo quasi zero: ma ci ha pensato un privato. La stessa cosa potrebbe accadere per lo stadio che l’Inter vorrebbe realizzare a Rozzano, anche se il progetto non è ancora formalizzato. Un altro tassello del puzzle della metropoli, un’altra idea privata. In questo caso, la politica ferma rischia di contemplare le macerie di San Siro.