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Milano vista da Mario Botta: il rischio di diventare città impersonale

Francesca Amé

Secondo "l'architetto della Scala" Milano deve mantenere la sua identità, altrimenti il rischio è che diventi come le "tante altre metropoli spappolate" d'Europa

Come vedo Milano? Male, perché i nodi vengono al pettine. Il centro città è ben tenuto, ma appena fuori, e neppure troppo, la città sta pagando il prezzo dei fondi di investimento. In passato, con il contribuito della borghesia illuminata, abbiamo creato una metropoli europea, ma ora il signor Pirelli non c’è più e al suo posto comandano anonimi e impalpabili fondi di investimento. Sono loro i nostri nuovi datori di lavoro, i padroni della città, e noi architetti siamo orfani, privati di una committenza precisa, con un nome e un volto, che era parte integrante del nostro progettare. Questo ha ovvie conseguenze sugli spazi in cui viviamo: le città sono diventate sempre più impersonali. Provate a sfogliare una qualsiasi rivista di architettura che presenta i lavori realizzati negli ultimi anni: non sembrano tutti uguali?”.

Giacchetta blu e sciarpa viola, il passo sicuro che non tradisce gli ottant’anni compiuti lo scorso aprile, ecco Mario Botta, ticinese di Mendrisio (“città in cui sono nato e dove vivo, per essere più vicino a Milano e più lontano da Zurigo”) con progetti in mezzo mondo (sta completando un doppio campus, in Cina, in due università fondate da Mao, e mentre lo dice sorride) e un sogno nel cassetto (“la costruzione di un monastero, perché in spazi come quelli sei obbligato a non sgarrare, a sfruttare al meglio i pochi elementi a disposizione, peccato mi manchino i committenti”). Botta per noi è soprattutto “l’architetto della Scala”: sul teatro del Piermarini, con la recente inaugurazione della torre di via Verdi, ha firmato venticinque anni di (discussi) lavori. Milano resta la sua città d’elezione. “Ogni volta che arrivo mi colpisce”, ammette mentre varca la soglia del CMC, il Centro Culturale di Milano in largo Corsia dei Servi, dove la scorsa settimana è intervenuto in un incontro dal titolo “Milano e il futuro della città europea” che ha richiamato tra il pubblico anche l’ex sindaco Gabriele Albertini, Walter Cherubini, presidente della Consulta delle periferie, e Claudio Salsi, già soprintendente al Castello Sforzesco.

 
Privo di arie da artistar (lui gli occhiali li tiene appoggiati sul naso), felicemente assente dai salotti, Botta ha quel parlar preciso che solo certe persone miti possiedono: “Milano è la testa del Mediterraneo ed è ancora, almeno in parte, capace di portare il sapere che possiede laddove c’è necessità. Deve mantenere questa sua identità. Vedo in Europa tante altre metropoli spappolate, rivolte a un’internazionalità non positiva, perché mica si può ricevere tutto in maniera acritica”. E ancora: “La rapidità delle trasformazioni che vedo in giro è proporzionale al loro futuro oblio. Il Covid ha dimostrato l’inconsistenza di molti progetti prima ancora di essere terminati. Paiono delle caricature”. Allude a qualcosa in particolare? “Mi dicono che tanti dei decantati grattacieli siano mezzi vuoti”. E poi: “Ogni città è fatta di ricordi concreti e personali. I miei su Milano sono indissolubilmente legati a mia nonna, che mi raccontava di quando, domestica presso una facoltosa famiglia di Luino, veniva alla Scala in calesse e stava in platea in piedi perché così succedeva un tempo, con le cameriere che dovevano assistere le nobili durante lo spettacolo. Ogni volta che entro alla Scala penso a lei. Tutta la mia architettura è il risultato di una sedimentazione di memorie”, dice. La nuova torre di via Verdi è pertanto “un omaggio alla Milano di Portaluppi, Gardella, Rogers che hanno lasciato una vera impronta di modernità sulla città” e cita come modello anche la gravità degli edifici novecenteschi (vedi alla voce Torre Velasca) e il tiburio di tante chiese lombarde. “Per come la vedo io, non si costruisce mai ‘contro’, si costruisce ‘per’”. E ricorda il lavoro fatto per ripulire le costruzioni sorte negli anni sul retro della Scala, come la casa del custode e abbaini vari, “cinque livelli diversi di assurdi accrocchi che avevano una sola cosa in comune: non essere visti dalla strada e quindi non infastidire nessuno”. Il suo intervento, invece, si vede eccome. “Le cose costruite hanno più forza delle idee stesse e l’innalzamento delle torri della Scala corrisponde all’ultima immagine novecentesca di Milano”. I nodi vengono al pettine. 

 

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