Gran Milano
I mega centri commerciali? Sì, ma con molto più "juicio" di prima
"I centri commerciali di oggi hanno caratteristiche nuove: sono più piccoli e situati dentro la città, è una scelta obbligata perché il mercato non consente più le dimensioni di 20-30 anni fa" dice al Foglio Marco Barbieri, segretario di Confcommercio di Milano Lodi Monza e Brianza
L’apertura di Merlata Bloom ha riaperto il tema dei mega centri commerciali che la pandemia aveva sospeso. Ci sono altri progetti di vecchia data rimessi in pista, come il Westfield Milan di Segrate, gigante da 155 mila mq, con 300 negozi per un investimento totale di 1,4 miliardi di euro che dovrebbe comunque essere un po’ ridimensionato. C’è poi Milanord2, ancora più colossale con i suoi 170 mila mq e 350 negozi sul sito dell’ex Auchan di Cinisello, al momento fermo così come quello di San Siro (68 mila mq) la cui sorte è legata alla realizzazione del nuovo stadio. A parte quest’ultimo, si tratta di opere ben più imponenti di Merlata Bloom che pure con i suoi 70 mila mq rappresenta un importante ritorno della grande distribuzione. Numeri che potrebbero fare pensare per Milano, o meglio per il milanese, a un revival degli anni ’90 caratterizzati da uno sviluppo impetuoso dei megastore: “Quella stagione in cui sono nati i grandi scatoloni è finita – spiega al Foglio Marco Barbieri, segretario di Confcommercio di Milano Lodi Monza e Brianza – tant’è che il progetto di Westfield è vecchio di 15 anni. I centri commerciali di oggi hanno caratteristiche nuove: sono più piccoli e situati dentro la città, è una scelta obbligata perché il mercato non consente più le dimensioni di 20-30 anni fa”.
A determinare questa svolta non è stata solo la pandemia che ha interrotto i flussi nei centri ma l’avvento dell’online che ha rivoluzionato il settore: “Seguendo i negozi di vicinato la grande distribuzione si è ridimensionata e aperta alla multicanalità, all’e-commerce: possiamo dire che si è creato un mercato misto, accanto alle vendite tradizionali c’è l’offerta online e questo vale per tutti i settori”. Anche lo storico conflitto che ha sempre opposto grande distribuzione e commercio di prossimità per Barbieri va rivisto: “Tra pendolari e turisti a Milano gravitano 3 milioni di persone al giorno che fanno acquisti e utilizzano i servizi, non penso che l’outlet di Locate Triulzi danneggi i negozi di corso Buenos Aires. C’è spazio per i centri commerciali, seppure nei termini descritti, ma è importante che il pubblico svolga il suo ruolo per evitare speculazioni: per intenderci non sono ammissibili operazioni che servono solo per distruggere la concorrenza”.
Sul fronte della Federdistribuzione il ritorno dei centri commerciali è ben visto pur condividendo in larga parte la posizione della Confcommercio: “E’ più appropriato parlare di piazze commerciali – afferma il presidente Carlo Alberto Buttarelli – che sono sparse in tutta Italia e offrono soluzioni diverse a seconda che debbano servire piccoli centri o aree metropolitane: in quest’ultimo caso si tratta di centri che presentano offerte variegate, dal retail al food. Credo che a Milano ci sia ancora spazio per questo settore che, non lo dimentichiamo, ha la potenzialità di rivitalizzare aree che altrimenti resterebbero abbandonate o persino degradate”. Per il presidente della Federdistribuzione è necessaria anche una maggiore attenzione all’ambiente: “Bisogna puntare agli spazi dismessi, ce ne sono tanti, evitare il consumo di suolo è un obiettivo importante”.
Il ruolo decisivo sul futuro dei mega centri è in capo alla politica. Nelle conferenze dei servizi in cui si decide il via libera è presente la Regione, il comune o i comuni interessati e la Città metropolitana. Adesso sono in discussione anche le regole per le autorizzazioni, la commissione Attività produttive del Pirellone sta esaminando un disegno di legge sulle normative per la “valutazione delle istanze per l’autorizzazione all’apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita”. Come spiega il presidente Marcello Ventura i criteri adottati saranno più restrittivi rispetto al passato: “Abbiamo previsto parametri che premiano la sostenibilità ambientale e socio-economica, ma vogliamo incidere anche direttamente sui progetti: a esempio nelle aree montane la superficie massima dei centri commerciali sarà dimezzata, da 10 a 5 mila mq”. Ma non è tutto, i complessi non alimentari che vogliono trasformarsi in alimentari potranno ingrandirsi non oltre il 30 per cento, sarà premiata la scelta di recuperare aree dismesse o bonificate e le società che forniranno garanzie sul piano occupazionale, in modo particolare sulle assunzioni dei giovani, e sulla produzione made in Italy. A dimostrazione della volontà di contrastare il consumo di suolo la Regione si impegna a non partecipare a conferenze che riguardano insediamenti in aree libere da realizzare con varianti urbanistiche. Il 14 dicembre è previsto il voto in commissione, a gennaio il disegno di legge arriverà in consiglio regionale. I mega centri cambieranno ancora il volto della metropoli, ma con juicio.