Gran Milano
Sta lontano da questo dehors! Paradossi delle politiche urbane
Dal 2024 il Comune ha varato una delibera che rivede il Canone univo patrimoniale, e andrà ad alzare notevolmente la tassa annonaria per i dehors dei locali pubblici
L’albero di Natale dei bagagli di Gucci in Galleria l’hanno già così malmenato tutti che non c’è motivo di insistere, anzi toccherà invece dire la sola cosa che conta, come per le bocchette-luminarie di Chanel sul corso e a San Babila: paga lo sponsor, un bel po’ di quattrini, moltissimi zeri, e il Comune versa in gravi difficoltà di bilancio. A regal donato non si guarda in bocca (forse basterebbe un assessore al buongusto), e come dice Beppe Sala (ma anche Alessia Cappello assessora allo Sviluppo economico e pure Emmanuel Conte, che tiene i cordoni del Bilancio, è sempre meglio che tagliare i servizi di Welfare. Giusto così, tutto fa cassa. E se non è sponsor è nuova tassa. Tanto più che ieri il Tar ha sentenziato la non sospensione del vincolo posto contro l’abbattimento del Meazza, e l’odore di sòla (come dicono a Roma) da mantenere a debito si fa sempre più forte. Ma in ogni caso, Milano ha da cambiare, da efficientarsi e da rendersi migliore per i cittadini e (soprattutto, pare di capire) i turisti che le donano linfa vitale. Così dal 2024 il Comune (Cappello e Conte) ha varato una delibera che rivede il Canone univo patrimoniale, e andrà ad alzare notevolmente la tassa annonaria per i dehors dei locali pubblici. Tenendo contro, giustamente, che Milano ne ha il doppio di prima del Covid: spazio pubblico occupato in ragione di un fatturato privato. Vabbè, si stava per morire: i baristi e i clienti. Non che tutti i cittadini ne abbiano tratto poi un gran ritorno, aumento dei prezzi a parte. Non sarebbe il caso di toglierne invece un po’, almeno quelli brutti e scomodi?
Ovviamente hanno ragione in Comune a fare due più due, e a segnalare che i costi annonari in città sono fermi a 15 anni fa, mentre da allora la città è esplosa nel valore commerciale. Roba che anche la Confommercio ha fatto buon viso. E comunque, bene anche questo, il costo dello spazio occupato salirà in centro ma resterà uguale o addirittura scenderà per i tavolini di periferia. Dove un cappuccio annacquato o una peroncina col panino vista parcheggio i più continueranno a poterseli permettere. Ma è appunto qui che una domanda legittima si potrebbe avanzare. Perché è anche vero che il “caffé a quattro euro colpirà soprattutto i turisti” – forse ai milanesi che lavorano in centro il medico lo ha vietato – ma il costo che verrà scaricato interamente sui clienti non è forse un’altra spintarella poco inclusiva, verso il “fuori città” data a studenti, a giovani, a quel che resta del ceto medio? Milanesi che la città la vivono, ma sempre meno ne possono sopportare i costi. Jonathan Bazzi avrà un motivo in più per lamentarsi del prezzo proibitivo di uno stuzzichino etnico a Porta Venezia, ma non è solo questione di movida e serate.
E’ questione di una città che per mantenere i suoi livelli di servizi essenziali, e va bene, rischia di penalizzare tutto quello che servizio dovuto invece non è (è forse “dovuto” uno spritz al Cordusio?), ma che è pur sempre parte integrante della vita dei milanesi. Che non sono soltanto turisti: almeno questo è quello che racconta la retorica generale (politica) della Milano da far tornare attrattiva, inclusiva, giovane.