Gran Milano
"Fernanda! Fernandissima!": un benvenuto a Brera per Crespi
Il prossimo 7 dicembre,ci sarà un evento importante per Milano: l’inaugurazione di Palazzo Citterio. Un'occasione per ricordare anche Fernanda Wittgens, personalità di assoluto primo piano
"Prima della prima". Se tutto correrà liscio, il prossimo 7 dicembre, prima della tradizionale inaugurazione della Scala, come annunciato dal ministro della Cultura Sangiuliano e dal nuovo direttore della Pinacoteca di Brera Angelo Crespi, ci sarà un altro evento importante per Milano: l’inaugurazione, dopo quasi cinquant’anni di complicati tentativi e fallimenti, di Palazzo Citterio: sede delle collezioni del Novecento e spazio per il contemporaneo. Per il nuovo direttore, una sorta di biglietto da visita per prenotare un posto negli annali. Ma non esisterebbe Palazzo Citterio, naturalmente, se prima di Crespi, o di James Bradburne, non ci fossero stati almeno due fuoriclasse come Franco Russoli (il direttore che volle l’acquisto di Citterio e immaginò la Grande Brera) e Fernanda Wittgens, che Brera contribuì a salvare e far rinascere. Tutto si crea e nulla si distrugge, a Brera. Se Crespi aprirà, tra i contributi che il suo predecessore per otto anni, James Bradburne, ha lasciato ci sono, oltre al nuovo impulso per Palazzo Citterio e all’ammodernamento museale, una visione che proprio al recupero delle idee e delle storie dei predecessori ha saputo guardare.
Cosmopolita, nato in Canada, di formazione architetto e di scuola londinese, Bradburne ha puntato sempre sul valore di essere “un funzionario culturale”. E in questa valorizzazione di tutte le funzioni – tutte essenziali – di un museo e della sua azione culturale non poteva che incontrare, subito, la figura di Fernanda Wittgens. E valorizzare la riscoperta di una personalità di assoluto primo piano. Un interesse che si palesò già sei anni fa con un saggio contenuto nel bel volume, “Sono Fernanda Wittgens”. Una vita per Brera (Skira) a cura di Giovanna Ginex, Erica Bernardi ed Emanuela Daffra. Un saggio che riportava in auge la figura straordinaria della prima direttrice della Pinacoteca di Brera del Dopoguerra e che già ne aveva retto le sorti, da semplice impiegata, durante gli anni del fascismo. Sotto quel segno Bradburne aprì una stagione di rinnovamento anche radicale per la Pinacoteca. Ora con l’uscita di un altro volume, Fernanda! Fernandissima! Wittgens alla prova della modernità (Skira, 176 pagine 19 euro), di Erica Bernardi e Giuseppina Di Gangi, il saggio introduttivo di Bradburne sembra invece avere la funzione di un passaggio di testimone con il nuovo direttore. Fernanda! Fernandissima! affronta nella sua interezza lo sguardo e l’azione di Wittgens in quanto modernista capace di dare forma a un museo totale in cui ricerca e apertura al pubblico potessero lavorare e incidere all’interno del medesimo discorso. Scrive Bradburne nella sua introduzione: “Fernanda Wittgens non era un’intellettuale da torre d’avorio, né solo un’appassionata storica dell’arte, Fernanda Wittgens era una modernista in tutti i sensi, soprattutto per la ricostruzione della città che amava”.
Il modernismo dunque come chiave di lettura dell’azione della direttrice, ma anche come contenitore propulsivo di un amore che teneva insieme i saloni della Pinacoteca con le strade di Milano, un’aderenza inseparabile perché l’una è il significato dell’altra, l’una senza l’altra non potrebbe esistere, se non a patto di un tragico tradimento con la memoria e quindi con la sua identità più profonda. Il volume contiene anche bellissimi testi inediti di Wittgens che ne sono un po’ il cuore. Una vera e propria biografia che è una biografia del fare come forma prima dell’esistenza tanto più in un momento storico in cui risignificare significava profondamente ricostruire. Tra i testi di Fernanda Wittgens spicca un breve appunto dal titolo Concetto della donna nel lavoro dove spiega efficacemente cosa significa gestire un’impresa culturale e non comandarla: “Compito della donna è un lavoro e una cerchia piccola perché essa è soggetta a subire le emozioni esterne molto più dell’uomo e il suo modo di pensare è sempre, fondamentalmente, quello di un essere affettivo: essa tende cioè a portare nella società il suo spirito”. Un passaggio di testimone e un’indicazione importante, via Fernanda Wittgens, di cui Angelo Crespi saprà fare tesoro: la memoria esiste in quanto corpo vivo e affettivo di una città consapevole, e solo così il suo museo può incidere e darsi pienamente forma.