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Spinte al centro. La mossa di Renzi con Bonino, il rebus Calenda e il ritorno di FI. Milano balla
C'è un gran movimento nell'area centrista lombarda. E super attivo è tornato a essere anche il sindaco di Milano Sala. Nel frattempo si aspetta di capire chi saranno di candidati delle varie liste
Vecchia regola elettorale della politica: il primo che devi combattere è quello che balla sulla tua piastrella. La traduzione – per quello che fu Terzo polo – è semplice: se in due, o in tre, si suddividono un elettorato moderato, europeista, riformista, il primo da far fuori il competitor interno. Se poi aggiungiamo che le Europee hanno uno sbarramento al 4 per cento, che i due litiganti molto litigiosi sono Matteo Renzi e Carlo Calenda e che la regina con la bacchetta magica in grado di trasformarne almeno uno in principino vincente su uno scranno di Strasburgo si chiama Emma Bonino, il gioco diventa obbligato. E a vincerlo, almeno in linea teorica, è al momento Renzi, che ha siglato il patto per essere nella super lista (quanto a numero di sigle) degli “Stati Uniti d’Europa” che fa riferimento a Renew Europe di Macron (i simboli aderenti: Più Europa, Italia viva, i Libdem, i socialisti di Enzo Maraio e Volt). Calenda non ne vuole sapere, a meno di cambiare idea più tardi, potrebbe essere un rischio. Ma soprattutto la certificazione che quel polo dell’area riformista che ha sempre visto la Lombardia come una terra promessa è destinato a non esistere anche stavolta.
Ad aggiungere benzina è il possibile e forse probabile exploit di Forza Italia, che aspira ad arrivare alla doppia cifra proprio sfruttando la moderazione di Antonio Tajani e sul brand di Letizia Moratti per riportare a casa chi se ne era andato verso la Lega (Fdi resta approdo assai più solido). In fondo, anche loro insistono sullo stesso elettorato, ma da destra: moderato, riformista, pragmatico. Valori che in Lombardia e a Milano, sono particolarmente diffusi. Per questo Matteo Renzi ha capito che il capoluogo è decisivo (anche se si candiderà probabilmente al centro). “L’anima di Milano è mettersi in gioco – ha spiegato nell’evento di sabato al centro di formazione professionale Galdus – Milano fa le cose. Il grillismo non a caso a Milano non esiste. L’elemento culturale del grillismo è quello di pretendere di avere diritti. Ma il contrario della parola diritti non è ‘doveri’ ma ‘storto, rovescio’. Il dovere è il presupposto e la conclusione del diritto”. Parlami di Calenda senza parlarne: “Siamo in un tempo in cui chi la pensa un po’ diversamente da te diventa nemico. Questo è stato il virus che ha portato alla scomparsa politica del Terzo Polo. E’ evidente che è stato ucciso da chi non ha saputo riconoscere la diversità come ricchezza”.
Beppe Sala da tempo è tornato a parlare di politica – e partecipa agli eventi come quello di Iv (cosa non scontata) – e da tempo insiste sul ruolo di Forza Italia per la destra: “Il centrodestra sembra invincibile e oggi i numeri dicono che lo è a livello nazionale. Vince perché c’è Forza Italia, una forza che per quanto vale sposta l’ago della bilancia, mentre il centrosinistra fa fatica ad averla. Questo spazio deve essere occupato. Continuo a dire che al centrosinistra manca un po’ di centro”. Il problema è inquadrato bene dal sindaco. Così come lo conoscono perfettamente sia Renzi sia Calenda sia Bonino. Nel frattempo Azione lavora come un partito tradizionalissimo, con sezioni, segreterie, consiglieri. A questo proposito si attende la decisione di Daniele Nahum, il consigliere comunale che ha lasciato il Pd – a Milano dilaniato su Palestina-Israele – e ha già annunciato il suo passaggio nel gruppo consiliare dei Riformisti, ultima vestigia del Terzo Polo che fu, e che a breve dovrebbe annunciare se andrà con Renzi o con Calenda. I rumors parlano di un vantaggio di quest’ultimo, ma chissà. Ci sono poi le voci sulle candidature, con l’incognita di Calenda capolista. Ci sarà sicuramente Alessandro Tommasi, già fondatore di Will Media poi venduto a Chora, la consigliera comunale genovese Cristina Lodi, Caterina Avanza e Giuseppe Zollino. In tutto questo il Pd che fu riformista, un tempo governato da quelli che vennero definiti turbo-renziani, adesso è rigidamente controllato dalla nomenklatura Schlein. I bonacciniani – di osservanza come la vicesindaca Scavuzzo o di rivoluzione come il consigliere regionale Bussolati – paiono balcanizzati. Ognuno per sé e Bonaccini per tutti. Risultato finale? Molti riformisti in lista, nessuna strategia comune a livello di area. Intanto a Milano – primo fra tutti – ormai gira il volto dell’ex premier su tutti gli autobus. Una campagna molto personalizzata, e qualcuno già parla di un nuovo referendum. L’altra volta non andò benissimo, e si consigliano gesti scaramantici apotropaici per scacciare il malocchio del 4 per cento.