Gran Milano
Dalla storia del “Comune che circondava Milano” idee per il futuro possibile. Un libro
Per l'architetto Edo Bricchetti “l’architettura deve essere al servizio dell’umanità, non lasciare sul terreno il segno di una forma, magari verticale. Alla città che sale preferisco la città orizzontale”. Prospettive dal passato
Nella “week più week di tutte”, quella in cui il primo cittadino, non senza polemiche, ha invitato i milanesi a non prendere la macchina e dove la media di un tre stelle supera i 400 euro a notte, conviene fermarsi per capire come siamo arrivati a tutto questo. E se un altro futuro è possibile. Ché ormai lo si è capito: la city a 15 minuti a piedi non funziona, perché in alcuni quartieri quel quarto d’ora è insufficiente a compiere il viaggio spazio-temporale utile ad accedere a servizi essenziali, perché non è quella la strada giusta per riacciuffare (o infondere) l’anima a una zona. “L’architettura deve essere al servizio dell’umanità, non lasciare sul terreno il segno di una forma, magari verticale. Alla città che sale preferisco la città orizzontale”, dice al Foglio Edo Bricchetti, archeologo industriale, architetto, sociologo del turismo. Uno che non molla l’osso dell’analisi dei fatti e, con doviziosa ricerca storica, scava nel passato per capire il presente: per Edizioni Meravigli – tra i pochi a non cedere al mainstream, pubblicando volumi che sono perle – ha scritto “Corpi Santi. Storia e storie del Comune che circondava Milano”, il “comune a forma di ciambella, dove il ‘buco era Milano” (dice Bricchetti), nato per volontà degli austriaci sul finire del Settecento aggregando il vasto territorio formato da cascine e borghi oltre la cerchia dei Bastioni, il cui nome risale al fatto che proprio lì, fuori le mura, c’erano i cimiteri.
I Corpi Santi furono aboliti nel 1873 a favore dei mandamenti che poi sarebbero diventati nel 1923 gli 11 comuni rurali annessi (A come Affori, B come Baggio e così via fino alla T di Turro e alla V di Vigentina): questi hanno retto la città con le gabelle che pagavano ai dazi d’ingresso, con le fabbriche che accettarono sul territorio, con i campi che continuarono a coltivare. “Milano da sempre è debordata: ha uno sviluppo concentrico”, dice Bricchetti. E se per Bonvesin de la Riva “la mirabile rotondità è il segno della sua perfezione”, oggi resta il fatto che il fulcro è rimasto il (piccolo, poco abitato) centro storico, così come accadeva in passato. In un vivace dibattito organizzato la scorsa settimana dal Centro Culturale di Milano, Bricchetti si è confrontato con Walter Cherubini, presidente della Consulta periferie: altro che città policentrica, il centro è l’asso pigliatutto. “Ancora oggi – dice Cherubini – molti milanesi non conosco Milano e la sua topografia. Voi lo sapete, ad esempio, dove sta Assiano?”.
In effetti, no (soluzione: estrema periferia ovest, non ha dismesso le sembianze di borghetto rurale). Eppure, se in questa Design Week il progetto più bello e visionario è quello di Alcova che se n’è andata in Brianza, a Varedo, è segno che qualcosa deve cambiare nei rapporti di forza tra centro, periferia e grande area metropolitana se Milano vuole davvero “diventare grande”. Devono migliorare le connessioni (a cominciare dai mezzi pubblici) e la gestione del territorio: oggi l’80 per cento dei milanesi vive negli ex Corpi Santi poi diventati borghi rurali e infine quartieri, gestiti da municipi di zona che sono presidi amministrativi svuotati di potere, con un bilancio ridicolo (un milione a testa, a fronte di un budget di spesa corrente di Palazzo Marino che supera i 3 miliardi). “Per ridisegnare una Milano policentrica e orizzontale bisogna ripartire dell’edilizia. Il dibattito si è concentrato molto sul recupero degli ex-scali ferroviari, ma questi insistono su soli 1,25 chilometri quadrati: un po’ poco. Cerchiamo altro. Pensiamo a riqualificare le aree dei gasometri, l’ex Macello”, dice Bricchetti. È notizia di questi giorni che tutta la grande area dei mercati generali di viale Molise è stata temporaneamente affittata a una società specializzata nella gestione di eventi musicali: si parte il 20 aprile con il primo dj-set, poi ci sarà un festival di street art e altro è in fase di definizione.
Permane, e stride con l’eccitazione esasperata per gli eventi del Fuorisalone, il problema della casa: “La città si è snaturata – osserva Bricchetti – il suo percorso di crescita resta un incompiuto. Torniamo a dare vita allo spazio partendo da ciò che già c’è, ad esempio quelle tante cascine urbane che, riqualificate in moderne strutture abitative, sarebbero un antidoto alla solitudine, permettendo una socialità nella corte recuperando l’anima degli antichi borghi”. Queste periferie dell’esistenza metropolitana potrebbero diventare nuovi centri nevralgici, se solo si capisse che il futuro di Milano è orizzontale.