Gran Milano
Nessuno tocchi il modello Milano? Il Pd alle prese con sé stesso
Tra la tentazione del Movimento 5 stelle e la riscoperta del grande passato milanese del Partito Democratico. Scelte per il futuro. Parla Pietro Bussolati
Chissà che il Pd non la pensi come Van Gogh dopo un tentato suicidio andato storto: “Nel caso dovessi sopravvivere ci riproverò”. Il dubbio viene, vedendo l’abbraccio con Giuseppe Conte, che non perde tempo né occasione di sferrare stilettate alla schiena di Elly Schlein, la versione horror del quadro di Hayez. Mentre a livello nazionale accade questo, con la segretaria che cerca di rimediare con un inconcludente “a me gli occhi” berlingueriano, a livello milanese si è riaperta una discussione sul “modello Milano”, inteso quello che ha permesso alla sinistra di governare.
Per il segretario metropolitano del Pd Alessandro Capelli, scuderia Schlein, ormai il “modello Milano” è finito e bisogna andare oltre. Pronta levata di scudi di Beppe Sala, che di quel modello è stato il pivot, che non vede chiuso il capitolo. Ma per capire la qualità del modello bisogna intendersi sul metodo, prima che sul merito. Che cosa è il modello Milano? E’ una valutazione sulla città oppure è il nome di un processo politico? A rispondere è uno degli inventori del modello, incredibilmente dimenticato un po’ da tutti gli analisti, ovvero Pietro Bussolati, attuale consigliere regionale e già segretario metropolitano del Pd sotto Pisapia e soprattutto con Beppe Sala al primo mandato. “Penso che il concetto di modello Milano sia stato esemplificato per la prima volta dopo le devastazioni dei no Expo in città”, riflette. “Era il 3 maggio 2015 e il Pd Milano lanciò quella famosa manifestazione, poi guidata da Pisapia, per dire che Milano non voleva i facinorosi, e che la gente era pronta a ripulire le devastazioni del giorno prima a opera dei black bloc. Ecco, quello era il modello Milano: mostrare la grande civiltà dei milanesi. Il Pd interpretò e diede voce a quella civiltà senza sentire il bisogno di metterci le proprie bandiere. Tutti sapevano che la stavamo organizzando noi, che erano le magliette gialle di ‘Bella Ciao!’ a coordinare tutto, ma non avevamo bisogno di loghi. Quella è l’aspirazione del Pd, credo: rappresentare la parte più positiva di Milano senza la necessità di esplicitare la propria presenza”.
Insomma, il Pd è grande quando si scorda di esserlo. Un po’ in controtendenza rispetto a un partito che, anche a Milano, continua a sentire un bisogno forte di identità. “E’ chiaro che il Pd vuole avere un protagonismo, e questo è giusto ed è assolutamente normale – spiega Bussolati – Penso però che lo si debba fare promuovendo dei legami fra Milano e la sua città metropolitana. Là sta il punto debole e là sta l’ambito su cui il Pd dovrebbe invece lavorare: solo riannodando quel legame si possono risolvere problemi che sono metropolitani e non solo cittadini come i trasporti, o l’abitare. Milano deve saper interpretare il suo ruolo di leadership non isolazionista rispetto al suo hinterland, alla Lombardia, all’Italia e vorrei dire pure all’Europa“. Dovrebbe, ma a quel modello Milano, fortemente riformista, si oppone ultimamente la tentazione suicidaria dell’abbraccio con il Movimento 5 stelle, tra l’altro esiguo da queste parti: il campo largo. “Noi dobbiamo puntare a irrobustire gli investimenti nello sviluppo e consolidare politiche del lavoro. Su questo il Pd ha praterie aperte. A Milano il rapporto tra pubblico e privato è sano, e bisogna fare ulteriori passi avanti. Se invece si scende su un piano ideologico, come si è fatto altrove, il rischio è che gli elettori fatichino a capire le alchimie e ci abbandonino. Con il M5s si può lavorare, ma non possiamo trovare punti in comune sulla decrescita e sugli approcci prettamente ideologici. Per capirci: il Pd deve fare il Pd. E il Pd è quel partito che fa le battaglie prima di tutto per il lavoro. Favorisce gli investimenti, perché abbiano ricadute positive in termini ambientali e di occupazione. Non insegue il M5s se adotta politiche contrarie allo sviluppo. Devo anche dire che i pentastellati in alcune fasi hanno voluto raccontarsi come vicini alle piccole e medie imprese. Era una strada giusta, ma non pare che vogliano proseguire in quel senso. Comunque la cosa non ci riguarda”.
Ma forse invece un po’ sì… C’è già chi pensa che il Pd verrà mangiato da Conte & soci. Bussolati lo nega: “Sotto la Madonnina direi di no, il rapporto è molto diverso. Io credo che alle Europee, qui nel Nord, ci sia una classe dirigente che ha una chiara visione di Milano europea e internazionale, da Maran a Gori a Tinagli, con candidati che possono rappresentare un Pd aperto che non si mette in competizione con il M5s. Dice semplicemente cose molto diverse”. E dunque, il modello Milano? “Semplifico: il Pd deve farsi società, non piantare bandierine qui e là. ‘Nessuno tocchi Milano’, il nome di quella grande manifestazione di popolo di cui parlavo, è stato forse il momento più grande di quel modello. Non c’erano bandiere di partito, eppure tutti sapevano che eravamo i promotori. La consonanza con la città e i cittadini era completa. Per questo siamo riusciti a vincere e governare per così tanti anni”.