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L'attrattività di Milano per gli investimenti negli immobili di pregio
Per un posto in vetrina nel capologuo meneghino non si bada a spese. E per fortuna a guadagnarci non sono solo le multinazionali immobiliari e del lusso ma anche le casse del Comune
L’albero di Natale con le valigie di Gucci imbiancate (per la verità bruttino, “sembra il deposito di bagagli di Linate”, era stato uno dei commenti più gentili comparsi sul profilo Instagram del Comune di Milano) al posto del luccicante albero con i cristalli di Swarovski è stato profetico. La multinazionale di origine austriaca, fondata a fine Ottocento da Daniel Swarovski, ha dovuto effettivamente fare le valigie per traslocare dalla Galleria Vittorio Emanuele dove era approdata nel 2012. A contratto scaduto, il Comune ha messo all’asta il negozio come si fa per le opere d’arte, cioè con la tecnica dell’incanto, competizione pubblica con rilanci, che garantisce al proprietario il massimo del guadagno. Infatti, dopo una gara molto agguerrita (vi hanno partecipato 10 tra i maggiori marchi del lusso del mondo) e un testa a testa finale con Prada, l’ha spuntata Tiffany, che pagherà a Palazzo Marino un affitto annuo di 3,6 milioni di euro per 174 metri quadrati per 18 anni.
Swarovski non ha partecipato ai rilanci (a colpi di 50 mila euro, in tutto 27, offerti dai vari procuratori legali delle maison) essendosi spostata di poche decine di metri nella nuova flagship che affaccia su Piazza Duomo, che è anche tre volte più grande. Però, evidentemente, non deve essere proprio la stessa cosa stare fuori o dentro la Galleria. Nella percezione delle grandi firme, un posto nell’Ottagono rappresenta il miglior posizionamento strategico, una vetrina irrinunciabile per l’americana Tiffany, che punta a cogliere un momento di mercato molto favorevole.
Milano, infatti, è tornata molto attrattiva per gli investimenti negli immobili di pregio, come testimonia anche l’affaire di via Montenapoleone, dove un mese fa il prestigioso palazzo settecentesco del civico 8 è stato acquistato dal colosso francese Kering di Francois Henri Pinault (proprietario di diversi marchi di origine italiana, come Gucci, Bottega Veneta, Ginori 1735, Pomellato, Brioni) per 1,3 miliardi. A vendere è stato Blackstone che a sua volta aveva rilevato l’immobile nel 2021, insieme con altri del centro, da una società di famiglie nobili lombarde. La transazione ha sorpreso anche chi è abituato a operazioni immobiliari di grosso calibro a causa dello stratosferico prezzo sborsato da Kering per una superficie lorda di 11.800 metri quadrati su cinque piani. A conti fatti, sono almeno 100 mila euro al metro quadrato e, anche considerando l’enorme fascino di un complesso iconico, resta un prezzo fuori dai parametri del mercato milanese che pure sta crescendo molto a livello mondiale.
Tanto per fare un paragone, Tiffany ha accettato di pagare 20.600 euro al metro quadro per stare in Galleria, considerata una location top. Vero è che in questo caso si parla di affitto mentre in via Montenapoleone è stata una vendita, però la differenza di grandezza è impressionante. Dal canto suo, Kering ha sottolineato che “l’immobile si trova nell’angolo più in vista del Quadrilatero della moda cittadino” e che la proprietà comprende 5.000 metri quadrati di superficie commerciale il che la rende “una delle più grandi di via Montenapoleone”. Un simile spazio concentrato in uno degli indirizzi più blasonati del mondo può rappresentare infatti, per il gruppo francese, un’opportunità che va oltre il core business. Pinault, infatti, non fa mistero di volere una gestione “proattiva” del portafoglio immobiliare. Che cosa vuol dire? Lo spiega la stessa casa d’Oltralpe quando dice di voler condividere le proprietà dei suoi palazzi con altri investitori restando uno dei proprietari delle società veicolo, com’è scritto nel comunicato diffuso a inizio aprile a Parigi. Ecco qual è il punto: per Kering, Montenapoleone è anche un business immobiliare, o forse lo è soprattutto. E in questo è riuscito nel “sorpasso” sul rivale di sempre, Lvmh di Bernard Arnault, che resta il più grande gruppo al mondo del lusso (Kering è secondo). Secondo alcune fonti bene informate, alla procedura per la vendita del palazzo del Quadrilatero, che ha visto in campo un esercito di advisor oltre che l’intermediazione della società Kryalos di Paolo Bottelli, avrebbero partecipato vari player e non è escluso che si sia affacciata la stessa Lvmh, che, tra l’altro, è proprietaria della storica pasticceria Cova che occupa una delle vetrine più in vista del civico 8. Le malelingue sono portate a ipotizzare uno “sfratto” di Cova per fare posto alla “strategia” di Kering che vorrebbe riorganizzare la logistica dell’edificio con beni di lusso “abbordabili” a piano terra per poi offrire i pezzi più esclusivi via via che si sale di piano.
Ma non sarà così perché, come confermato dalla stessa Kering al Foglio della Moda, esiste un “agreement” con Lvmh per lasciare l’antica pasticceria al suo posto. Insomma, a Milano Arnault pagherà l’affitto a Pinault, il che, per chi conosce la storica competizione tra i due, è anche una prospettiva che fa sorridere. La morale della favola è che per avere un posto in vetrina a Milano in questo mondo non si bada a spese. E per fortuna a guadagnarci non sono solo le multinazionali immobiliari e del lusso ma anche le casse del Comune.