GranMilano

Lo “Stradario sentimentale” di Andrea Kerbaker contro il “monolinguaggio dei luoghi”

Francesca Amé

Un tour meneghino per una quarantina di vie scelte tra le oltre 4.600 della città per nessun altro motivo se non quello di custodire una qualche memoria speciale

Si comincia dall’Ospedale miliare di Baggio e si finisce, senza troppo rimpiangere Mani pulite, al Pio Albergo di via Trivulzio, seguendo un percorso quasi circolare e di certo rabdomantico suggerito dallo Stradario sentimentale di Milano (pp. 240) redatto per i tipi della Bur Rizzoli da Andrea Kerbaker, organizzatore culturale, collezionista, bibliofilo e fondatore della Kasa dei Libri, spazio aperto al pubblico con centinaia di volumi e ancor maggior libertà di pensiero, nata di fronte al Bosco Verticale ben prima che si la zona si trendizzasse.

Chi conosce “K” non farà fatica a sentire la sua voce un po’ arrotata nei gustosi racconti che accompagnano questo tour meneghino scandito su una quarantina di vie scelte tra le oltre 4.600 della città per nessun altro motivo se non quello di custodire una qualche memoria speciale (collettiva, privata). La Milano di Kerbaker è quella dei tram che (qualcuno se lo ricorderà?) erano nominati per lettera dell’alfabeto: veicoli che, quando ci salivi sopra, promettevano indirizzi dal suono esotico (piazza Axum) e ti catapultavano in un altrove cittadino (vedi alla voce bagarini per andare allo stadio). La Milano di K è anche quella della centralissima via Bagutta, che da quando la trattoria si è trasferita neanche il premio è più lo stesso, così come il garage Traversi che era così bello quando era tutto grigio e invece ora ci arrivano le vetrine di Louis Vuitton, “in un monolinguaggio dei luoghi” che non fa bene alla città. In questo stradario emozionale alla B si trova non solo Bagutta, ma anche Bicocca (dove stavano gli uffici della Pirelli, un luogo che K conosce bene, avendone a lungo curato gli eventi culturali, quelli che invitavano il Sermonti a leggere le terzine dantesche nella Basilica delle Grazie facendo il pieno che neanche un concerto al forum di Assago). E poi Bligny dove, al civico 21, hanno domiciliato due premi Nobel: Eugenio Montale (che ai coinquilini del palazzo dedicò dei versi) e, seppur brevemente, Albert Einstein. Non è un itinerario sdolcinato o indulgente. Kerbaker, uno che da sempre gira in motorino, “perché, a differenza della macchina, ti permette di stare a contatto con la città, se non devi stare troppo attento alle buche”, in questa che definisce “una flanerie spontanea”, passa anche per certi non-luoghi come piazzale Dateo “senza forma né anima” o via Melchiorre Gioia, “dove non c’è mai una gioia”, ma la coda al semaforo è assicurata. Tra i palazzi della via Gluck, citazione obbligatoria di Celentano, il ponte della Ghisolfa è tutto testoriano mentre via Porpora comincia con l’atelier Fontana passa per quello di Emilio Tadini e finisce con il covo di Vallanzasca. “La retorica sessantottina non mi appartiene, non amo le ideologie e se questo è uno stradario militante lo è solo perché uso le lenti dei miei occhiali”, dice al Foglio. E come vedono Milano? “Straordinariamente attiva e ricettiva per la parte privata, assente per quella pubblica: non c’entra Sala, da sempre, ma ultimamente ancor di più, la città tende a impadronirsi dei meriti di alcuni singoli e ad andare in scia. La Biblioteca degli Alberi, la Fondazione Rovati, il Franco Parenti sono ottimi esempi di intuizioni di privati cittadini di cui la città si fa vanto, ma restano poi temi ineludibili, come le periferie o le carenze di alloggi per gli studenti, su cui il privato non interviene e il pubblico latita”. Lo stradario di K è punteggiato di indirizzi infarciti di storia passata, come la struggente piazza dei Piccoli Martiri di Gorla, e recente: si passa per via Ojetti per ricordare il gran lavoro di Casa Vidas, porto sereno di cure palliative per malati terminali nato grazie alla dedizione di Giovanna Cavazzoni (1931-2016, e in mezzo un matrimonio con Claudio Abbado). Se siete impazienti di capire chi c’è e chi non c’è in questa guida sentimental-meneghina, spulciatevi le ultime 12 pagine, dedicate ai nomi citati (“Milano è un paesotto: ci si conosce tutti”). La nostra sosta del cuore è in via Rugabella, che collega corso di Porta Romana con Corso Italia; ha un genius loci speciale perché da qui sono passati Cesare Cantù e Delio Tessa, hanno vissuto gli artisti Filippo De Pisis e Marino Marini e il poeta Leonardo Sinisgalli, mentre all’angolo si affaccia quel Palazzo Ravizza che fu la Wunderkammer di Philippe Daverio fino a un paio d’anni fa. Per orientarsi nella Milano di oggi, per andar dritti al punto delle cose, non basta Googlemaps. 

Di più su questi argomenti: