Gran Milano
Il circo mediatico-giudiziario che ce l'ha con le case di Milano
La battaglia immobiliare in città si intensifica, con la procura che apre nuovi fascicoli, inclusi quelli sul progetto "Goccia" di Renzo Piano. Ma sbuca un nuovo caso, quello di Via Anfiteatro, dove sorgeva un tempo un edificio comunale, demolito una trentina d’anni fa
Continua la battaglia immobiliare su Milano, con la procura che da tempo ha aperto il vaso di Pandora dell’interpretazione delle norme sulle ristrutturazioni edilizie, appellandosi a interpretazioni rigide dei regolamenti. In attesa che un emendamento del decreto “salva casa” giunga a sanare la situazione, spuntando le unghie ai pm e ai fatidici comitati – ma ora la procura ha aperto pure un fascicolo “senza indagati” anche sul progetto “Goccia” di Renzo Piano del Politecnico in Bovisa, rischiando di frenare una delle riqualificazioni maggiori per Milano – c’è un nuovo incredibile caso nel bestiario particolare delle cause edilizie, con via crucis di perquisizioni qui e là. È la vicenda di via Anfiteatro.
Là sorgeva un tempo un edificio comunale, demolito una trentina d’anni fa. Era, l’area e l’edificio, di proprietà di Palazzo Marino, che però l’aveva messo nei fondi di valorizzazione immobiliare e poi dato in gestione a BNP Paribas, il quale successivamente aveva venduto a operatori privati. Segnatamente, all’Impresa Rusconi, già al centro del caso di Torre Stresa. Secondo notizie di stampa la procura avrebbe acquisito documentazione pare in base a un esposto (di chi per ora non è dato sapere) ipotizzando l’abuso d’ufficio. La storia, sempre la stessa: invece di una “ristrutturazione” si tratterebbe di nuova edificazione. Ma qui l’esito potrebbe essere profondamente diverso. Il motivo è semplice: per questo ipotetico abuso d’ufficio c’è già una sentenza. Anzi, due. Quella del Tar e quella del Consiglio di Stato, che per il progetto di via Anfiteatro ha dato torto per due volte ai vicini di Brera, stabilendo un po’ di cosette che possono rivoluzionare il panorama della guerra tra procura, Comune e sviluppatori. La prima cosa che stabiliscono i giudici è che ristrutturare non vuol dire riedificare alla stessa maniera l’edificio che era stato abbattuto. Ma che già dal 2013 ristrutturare vuol dire usare solo e unicamente la volumetria, facendo anche qualcosa di completamente diverso. Purché il volume sia quello. Fin qui, tecnicismi. Quello che è rilevante è che la procura abbia aperto un fascicolo ipotizzando l’abuso d’ufficio quando l’operato è stato già vagliato e giudicato da due organismi giudicanti, Tar e Consiglio di Stato.
È una vicenda spartiacque ed estremamente paradossale di quello che si sta vivendo a Milano. Dove è in atto una battaglia su più fronti. Uno è quello legale, la procura viene infatti attivata da esposti e denunce. E questi esposti e denunce fanno parte anche di una strategia comunicativa che dà fiato – pare paradossale ma è così – alla sinistra oppositrice di Beppe Sala. E’ una sinistra che ha una narrazione ben precisa, incarnata meglio di tutti da Lucia Tozzi, giornalista e autrice del volume “L’invenzione di Milano” che basa la propria accusa proprio partendo dallo sviluppo immobiliare. In questi giorni sta girando nei gruppi WhatsApp di mezza città un contenuto digitale targato Treccani, e precisamente del prodotto editoriale “Il Tascabile”, che è la summa di questa narrazione (e non a caso cita spesso e volentieri proprio Tozzi). Si intitola “LombarDie: morte di una regione”, con un (sottile?) gioco di parole. Dentro c’è di tutto ma soprattutto un attacco matto e disperato ai costruttori. Con contorno di solita accozzaglia di dati messi a caso. Ad esempio pare che in Lombardia ci si suicidi più che nel resto d’Italia: ovvio, visto che è la Regione di gran lunga più popolosa. Nozioni da scuola elementare. Poi c’è l’insulto libero e deliberato: “È il sacrificio la cifra di milanesi disposti a tutto, anche a una deliberata omertà, pur di sancire il trionfo del contenitore che li ospita”. Omertosi? E perché mai? C’è poi la narrazione della Lombardia come se fosse soltanto Milano: nel senso che attribuisce a una Regione di dieci milioni e mezzo di abitanti peculiarità (e problemi certo) di una metropoli. Come se Mantova fosse uguale a Milano per trasporti, costi delle case, eccetera. Forse perché vien più facile picchiare la Lombardia destrorsa piuttosto che la Milano di centrosinistra? Chissà.
In compenso però riesce nella geniale idea di indicare come metodo di risoluzione dei problemi lombardi (cioè di Milano) il modello californiano, che ormai neppure i californiani sposano più. C’è una critica (adducendo dati Istat che però, a verifica, non esistono) addirittura al modo con cui Milano costruisce i suoi rapporti umani che “sono per lo più valorizzati in base alle occasioni economiche offerte, il networking primeggia sull’amicizia”. Se la calunnia è un venticello, le stupidaggini su Milano ultimamente sono tempesta. “Sembra quasi che da questa città, a essere lucidi e avere un minimo di istinto di conservazione, si debba solo scappare”, scrive l’autrice dell’iperbolico pezzo. Chi siamo noi per dissuaderla dai suoi intenti?