(foto Ansa)

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Sala senza ebrei. Sempre più forte la critica della comunità ebraica verso il sindaco e la giunta filo Pal

Giovanni Seu

Dal 7 ottobre in poi il primo cittadino si è mostrato sempre più ambiguo verso Israele. La mozione in Consiglio comunale per il riconoscimento della Palestina e il clima teso verso il pride

Il voto della settimana scorsa in Consiglio comunale che riconosce lo stato della Palestina segna, con ogni probabilità, un punto di non ritorno nei rapporti tra Beppe Sala e la comunità ebraica cittadina. Mai stati idilliaci in verità, e dopo il 7 ottobre si sono fatti a dir poco tesi. Ora la mozione approvata dal centrosinistra sembra avere chiuso ogni ipotesi di riconciliazione. Lo conferma, sul piano politico, il consigliere comunale Daniele Nahum protagonista, lo scorso marzo di un clamoroso abbandono del Pd, giudicato sbilanciato verso i palestinesi: “Pur essendo a favore dei due stati ho votato contro la mozione che non chiarisce le responsabilità di Hamas nello scoppio di questo conflitto – spiega al Foglio l’esponente di Azione – ma ciò che mi ha lasciato basito è stato il parere favorevole dato dalla Giunta, che evidenzia una posizione antisraeliana”. La questione, insomma, investe il vertice dell’amministrazione, a cominciare dal primo cittadino: “Sala sulla politica estera è confuso e intrattiene da sempre un rapporto complicato con la comunità ebraica, come dimostra il fatto che non abbia mai partecipato a nessuna nostra iniziativa”. Altro tema dolente, per un uomo politico di formazione radicale, è la decisione dell’organizzazione queer ebraica “Keshet Italia” di non partecipare al Gay Pride del 29 giugno: “E’ incredibile il cortocircuito in atto nel mondo Lgbtq che dimentica come Israele tuteli da 30 anni le coppie di fatto: c’è un’atmosfera ostile che non ci consente di partecipare, infatti io non sarò alla sfilata”, spiega Nahum. Sulla stessa linea Ruben Piperno, membro del board di Keshet Italia: “Nella piattaforma del Gay Pride c’è una generalizzazione tra il popolo ebraico e le persone che non è accettabile, al Gay Pride non ci saremo per non mettere a rischio la nostra identità e evitare un clima che non ci piace”.

 

Le posizioni anti Sala non si registrano solo tra chi fa militanza politica e civile. L’intera comunità – che contata poco più di 4.000 iscritti su una popolazione ebraica milanese di oltre 7 mila – sembra mostrarsi poco fiduciosa verso il primo cittadino. Dal 7 ottobre, come avviene nei momenti di difficoltà, si è ricompattata, fatto non usuale per una realtà molto articolata (tre ebrei fanno tre opinioni, dice un proverbio). Il presidente Walker Meghnagi ha attaccato più volte il sindaco senza perdere il sostegno dei membri, l’ultima è stata ieri, lo ha accusato di strizzare l’occhio alle frange più estreme: “Con la sua fermezza sta interpretando bene gli umori e le idee di tutti noi – spiega Davide Blei, delegato per la comunicazione della comunità – Sala si sta mostrando ambiguo e il Consiglio comunale ha espresso una posizione che non è condivisa né dal governo né dal Parlamento”. Quanto al momento che stanno vivendo i singoli, Blei non cede agli allarmismi: “La sicurezza è il nostro problema più importante, siamo tranquilli grazie al grande lavoro che stanno svolgendo le forze dell’ordine”. 

 

Se a livello di singoli cittadini non ci sono rischi, più complicato diventa il discorso sul piano culturale e sociale, ovvero dove si spende il nome e la tradizione dell’ebraismo. Lo dimostra la vicenda di pochi giorni fa del gruppo di musicisti ebrei KlezParade che non ha potuto esibirsi al Teatro Franco Parenti. Un aspetto che contribuisce a creare agitazione nella comunità che già dal 2022, prima dell’aggressione di Hamas, aveva trovato una soluzione bipartisan per la giunta guidata da Meghnagi, considerato di area centrodestra. Ma le appartenenze politiche si stanno ora rimescolando, anche coloro che sono considerati progressisti non lesinano critiche a Palazzo Marino e non arricciano più il naso quando si descrive Sala come pro Pal. Secondo Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica, non si tratta di un atteggiamento preconcetto: “Magari non ha mai scaldato i cuori, ma fin dalla prima campagna elettorale del 2016 ha ottenuto consensi nonostante il suo avversario Stefano Parisi fosse molto sensibile alla nostra comunità (la moglie è ebrea). Poi la situazione è precipitata per il suo silenzio sulla strage del 7 ottobre, sugli ostaggi e il costante rifiuto di partecipare ai nostri eventi”. Anche il rapporto con la sinistra è cambiato: “Le dimissioni di Roberto Cenati, persona molto stimata, e il cambio di linea dall’Anpi è un segnale dell’atteggiamento che la sinistra ha adottato sulla questione palestinese e che sta avendo ripercussioni su tanti esponenti della comunità”.

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