Il presidente della Lombardia Attilio Fontana e l’assessore Guido Bertolaso al Belvedere di Palazzo Lombardia (Stefano Porta / LaPresse) 

gran milano

I passettini della Sanità lombarda tra pochi soldi e liti leghiste

Daniele Bonecchi

Bertolaso resiste agli attacchi interni. Il Piano sociosanitario è ambizioso, ma le liste d'attesa e la carenza di personale restano criticità

Non erano ancora chiuse le urne dei ballottaggi che partiva l’ennesimo assalto alla Sanità lombarda. Questa volta a tentare di picconare Bertolaso è stata una fronda interna alla Lega, capeggiata dall’assessore, salviniano di complemento, Alessandro Fermi, passato da Forza Italia al Carroccio negli anni del boom leghista e candidato di legno alle europee. Guido Bertolaso – che gode della fiducia incondizionata di Fontana – è riuscito a dare una dimensione civile a uno scontro non così epocale (le sorti del pronto soccorso dell’ospedale di Menaggio), spiegando che la chiusura non era affatto prevista: “Io sono un servitore dello stato – ha detto – ho sempre lavorato per il mio paese. Sono andato in pensione 12 anni fa e adesso sono ancora qui. Quindi sono i miei tempi supplementari” e il mio incarico “è nelle mani del presidente” Fontana. “Se qualche situazione può creare problemi per colpa mia mi può ritirare la delega”. Ma sulla Sanità la partita è tutt’altro che chiusa.

  
Il Piano socio sanitario della Lombardia, disegnato da Bertolaso è ambizioso (secondo le opposizioni troppo) e tra le azioni da mettere in campo contempla la prevenzione primaria e secondaria; la cura, riabilitazione e assistenza; lo sviluppo dei servizi sociosanitari per gli anziani, le persone con disabilità e a con disturbi mentali. E la riduzione delle liste d’attesa col miglioramento del processo di presa in carico. A questo si aggiunge il Piano socio sanitario integrato in discussione proprio in queste ore. Ma quello che doveva essere un acceleratore dei processi, l’autonomia regionale differenziata (approvata dal Parlamento, ma di là comunque da venire), rischia di diventare zavorra per la sanità. “Finché non verranno definiti i Lep non potranno fare niente sul capitolo sanità e ci vogliono 80 miliardi”, spiega Carmela Rozza, consigliere regionale Pd che conosce a fondo il mondo della salute.

  
Anche l’ipotesi di compensi ad hoc per il personale sanitario lombardo passa attraverso il bilancio dello stato e sembra proprio che non sia la stagione giusta per operazioni di questo tipo. “Non credo proprio che i sindacati rinunceranno a discutere il contratto nazionale e poi lo Stato non ha nessuna intenzione di disarticolare il suo bilancio”, insiste Rozza.

 
La strada è in salita, ma Bertolaso non demorde. Qualche giorno fa ha anticipato un provvedimento che avrebbe fatto felice il Cav.: “Una delibera che garantisce dentiere gratis in Lombardia per chi ha avuto un tumore e a tutti coloro che hanno subito interventi che gli hanno compromesso il cavo orale”, ha detto l’assessore al Welfare. L’impatto economico del provvedimento è stimato in circa 750 mila euro. Una goccia nel mare ma comunque.

 

E a proposito del Piano socio sanitario integrato approvato in queste ore (con la contrarietà delle opposizioni), Rozza ammette: “Per la prima volta in commissione Sanità c’è stato un vero dialogo, ma il Piano non affronta diverse criticità e non dà risposta ai reali bisogni di cura dei lombardi”. “Da decenni in Lombardia la carenza di infermieri (e medici) è gravissima e ora sta diventando emergenza. Cercarli all’estero, come sta facendo Bertolaso, non è la soluzione definitiva. Quello che serve è una valorizzazione della professione che nel Piano non c’è. Per questo abbiamo proposto di introdurre incentivi economici e di carriera”. Ovviamente il problema è sempre chi li paga, gli incentivi, e soprattutto la questione da mettere a fuoco sarebbe quella di “che tipo di carriera” vogliono gli infermieri, sempre più disamorato ad esempio alle regole essenziali della turnistica. Ma Rozza insite: “Il Piano non presenta un modello definito di medicina di territorio. La necessità è quella di potenziare i distretti e garantire gli strumenti necessari in termine di risorse economiche e professionali. Questo è l’unico modo per risolvere l’emergenza liste d’attesa e il sovraffollamento dei pronto soccorso”. Ancora una volta il problema è il bilancio.

  

La Fondazione Gimbe ha criticato a livello nazionale il recente decreto sulle liste d’attesa: “Non prevede risorse aggiuntive e potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con scadenze non sempre definite e tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici”. E’ evidente, commenta la fondazione, che la versione definitiva del dl risente dell’impossibilità da parte del governo di investire ulteriori risorse in sanità”, mentre “il potenziamento dell’offerta di visite diagnostiche e specialistiche tramite l’estensione delle attività a sabato e domenica e prolungando le fasce orarie trova il principale ostacolo nella carenza di professionisti sanitari”. Infine, poiché il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario viene rinviato al 2025 dopo la definizione da parte delle Regioni del fabbisogno di personale, si ritorna dalle parti delle definizioni delle Lep. Il Consiglio regionale lombardo ha comunque approvato il Piano socio sanitario regionale 2024-2028, che si muove in uno scenario caratterizzato dal progressivo invecchiamento della popolazione, dalla forte riduzione della natalità, dall’aumento delle famiglie composte da una sola persona e dall’aumento degli indicatori di fragilità: oltre 3 milioni di cittadini hanno almeno una condizione cronica. Non resta che affidarsi allo stellone della sanità lombarda che, con l’esperienza di quella pubblica e il diffondersi di quella privata, tenterà di sopperire alle molte carenze. Sempre ammesso che le scaramucce politiche e lacustri non creino ulteriori problemi.