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Il nuovo equilibrio nel Pd tra sinistra di governo e sinistra politica. Con vista sindaco

Fabio Massa

Tra il verbo di sinistra majoriniano e il riformismo amministrativo, la vera domanda riguarda la prossima sfida elettorale che conta: il Comune di Milano al quale a questo punto Majorino può legittimamente aspirare, ma per il quale serve necessariamente una convergenza al centro

Mentre sull’asse Bologna-Strasburgo l’ex governatore ex autonomista Bonaccini tenta il più classico dei washing e ora chiede il referendum contro quella stessa autonomia differenziata che aveva chiesto per l’Emilia-Romagna assieme a Zaia e a Fontana (glielo ha rinfacciato, il washing, persino il Manifesto), in Lombardia è il momento di disegnare una mappa del riformismo di sinistra. Sorpresa, c’è ancora. Ma più nelle amministrazioni che in politica, dove il tradizionale autonomismo meneghino (rispetto alla linea del partito nazionale) funziona meno. La sintesi dello stato di salute dei riformisti del Pd dopo l’addio a Milano di Pierfrancesco Maran, ultimo tassello di una lunga diaspora, potrebbe essere: niente drammi. A livello politico locale Maran non aveva ruoli. In Europa è uno dei riformisti eletti ed è in buona compagnia. Anzi, si può dire che Elly Schlein ha fatto in modo che i riformisti fossero ben rappresentati: Giorgio Gori, Irene Tinagli, Pierfrancesco Maran. Metà del gruppo, per una lettura non maligna. Per chi malpensa, invece, la segretaria ha fatto in modo che ci fosse molta competizione al centro del partito.

Anche a Milano i riformisti contano eccome. La vicesindaco si chiama Anna Scavuzzo, ed è rappresentante “bonacciniana” (il problema al massimo è la futura evoluzione di Bonaccini dopo lo Schlein-washing). Il vicesindaco della Città metropolitana Francesco Vassallo idem. Il nuovo capo di gabinetto di Sala si chiama Filippo Barberis e – prima di prendere un ruolo tecnico ma molto politico, nei confronti del Consiglio comunale e degli stakeholder cittadini e regionali – era il capogruppo del Pd di area riformista. La maggior parte dei consiglieri regionali si può ascrivere alla stessa schiera, come anche a Palazzo Marino. Il seme riformista alligna e cresce nelle società partecipate a Milano e fuori Milano, in presidenze e cda. 

Tutto bene, dunque? Solo guardando il bicchiere mezzo pieno. Perché se si guarda al potere di indirizzo politico in Lombardia, il bicchiere riformista è quasi vuoto. E’ chiaro che esiste un solo padrone, interprete di una linea allineata e in stretto connubio con il Pd nazionale: Pierfrancesco Majorino. A lui riferiscono tutti i gangli delle decisioni politiche, specie nella Federazione dove i riformisti sono in parte in maggioranza e in parte all’opposizione, sotto la guida del segretario Alessandro Capelli. Majorino controlla saldamente anche il gruppo del Consiglio regionale ed è solido il rapporto con Silvia Roggiani, segretaria regionale ma che siede in Parlamento ed è stimatissima da Elly Schlein. Altra caratteristica del momento attuale: Milano per la prima volta dopo molto tempo è perfettamente allineata al nazionale. Le battaglie preferite sono quelle identitarie e di visibilità mediatica. Tanto per fare esempi delle ultime settimane: le iniziative per la difesa del Pride (nonostante il silenzio sull’esclusione della componente ebraica), e la caciara contro la dedica a Berlusconi di Malpensa.

E Beppe Sala? L’ultima nomina con relativo rimpasto mini a livello di deleghe suggerisce che sia lui, oggi, il riformista in chief. Il “capo” avrebbe rigettato la lista dei nomi suggeriti da parte di uno degli esponenti apicali del Pd, ripetendo il proprio mantra: oggi la sinistra ha bisogno del centro, così come da sempre ha bisogno della vocazione ambientalista e della vocazione “socialista“ in senso europeo. La stessa delega di Guido Bardelli alla Casa, avvocato, con il suo profilo moderato, già presidente della Compagnia delle opere prima locale e poi nazionale, è una scelta di campo: al centro, e senza cedere nulla a chi invoca la Procura a ogni piè sospinto. A questo punto è chiaro che a livello amministrativo gli oppositori sono riconoscibili: non tanto il centrodestra, spappolato anche alle europee nel voto di Milano, quanto un pezzo dei verdi estremisti e di quella sinistra manettara che Sala non l’ha mai amato. Tra il verbo di sinistra majoriniano e il riformismo amministrativo, la vera domanda riguarda la prossima sfida elettorale che conta: il Comune di Milano al quale a questo punto Majorino può legittimamente aspirare, ma per il quale serve necessariamente una convergenza al centro (il M5s sotto la Madonnina non ha mai cubato nulla). Ma i riformisti del Pd, asse portante di governo, e i riformisti fuori dal Pd (i terzopolisti in diaspora) vedranno nell’attuale grande capo dem il candidato sindaco giusto? Se ne inizierà a parlare dopo la pausa estiva.

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