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Carceri

Buco nero Beccaria. L'ex direttore del Dap Luigi Pagano riflette su disagio, violenze e riforme mancate

Cristina Giudici

Disagio, sovraffollamento e suicidi. Il carcere minorile è diventato un inferno e la soluzione non è chiuderlo come dicono Ilaria Salis e i Radicali, ma rieducare i ragazzi e dare loro un futuro

Forse più che la rivolta al Beccaria è il dibattito esploso successivamente che ci fa vivere sempre nel Giorno della marmotta. E non perché non siamo consapevoli del disagio giovanile profondo soprattutto fra gli “utenti” degli istituti penali minorili, in maggioranza stranieri che vengono dalla strada. E neanche perché siamo indifferenti alle violenze subite dai baby detenuti da parte degli agenti penitenziari ed emerse nell’aprile scorso. Ma le sparate dell’eurodeputata Ilaria Salis e le provocazioni dei Radicali che invocano la chiusura degli istituti penali minorili ci ricordano solo che dopo mezzanotte è sempre buio.

“E invece bisognerebbe focalizzarsi sull’incapacità di creare di sistemi detentivi che siano rieducativi, come auspica la Costituzione. Da quanti anni ne parliamo?”, si chiede con un’amara domanda retorica l’icona di un garantismo non peloso, e paladino di una pena umanizzata, Luigi Pagano: ex direttore del carcere fra i più sovraffollati d’Italia, il San Vittore che ha diretto per 15 anni in una fase convulsa della storia italiana, prima di diventare provveditore del Dap in Lombardia.

E dato che le patologie degli istituti di pena minorili – le troppe ore di chiusura in cella senza poter accedere ad alcuna attività rieducativa, il sovraffollamento e l’alta percentuale di quelli che potrebbero uscire se avessero una comunità adatta ad accoglierli – sono comuni a quelle delle carceri “adulte”, l’analisi di Pagano serve a rammentarci che la situazione è sempre uguale ma incancrenita. “Molti non sanno che le misure alternative applicate a migliaia di detenuti funzionano”, spiega al Foglio.

“Quello che non funziona è la governabilità degli istituti di pena perché un terzo dei reclusi sono in attesa di giudizio, il sovraffollamento porta a una promiscuità delle categorie dei detenuti e a un approccio securitario che non garantisce la rieducazione mentre la ‘vigilanza dinamica’ che avevo costruito per creare percorsi ad hoc e migliorare il rapporto fra agenti e detenuti è naufragata. Mi chiedo fra l’altro se sia una scelta adeguata quella di mettere sempre alla guida del Dap un magistrato, perché se mi si rompe la macchina io non vado da un gelataio…”, ironizza Pagano con il suo humor napoletano.

Rispetto al problema dei minorili, Pagano ribadisce che la soluzione è una sola: “r-i-e-d-u-c-a-z-i-o-n-e”. “Chi ne chiede la chiusura, non capisce che la sfida più difficile è la costruzione delle opportunità, perché il carcere deve offrire speranza non dannazione. Alle solite malattie croniche su cui dibattiamo da decenni, si aggiunge la prevalenza degli stranieri che pur potendo uscire non hanno un luogo dove andare. “Nel 1989 a San Vittore rappresentavano il 5%, ora sono la maggioranza. La società è cambiata ma gli schemi per gestire la detenzione sono rimasti immutati. Pochi sanno che i tossicodipendenti, a meno di aver commesso reati gravi, non sono costretti a stare in carcere sebbene non ci siano luoghi adatti per accoglierli. Pochi sanno che in carcere si entra anche per poche ore con buona pace di chi chiede di ricorrere alla detenzione come extrema ratio. Ma il nodo del problema è la governance del sistema penitenziario”, chiosa.

Ci vuole un progetto per rendere l’espiazione della pena un percorso che serva alla rieducazione, sia per gli adulti sia per i minori. E invece oggi più che mai gli istituti di pena sono delle discariche sociali”, conclude Pagano che è stato anche l’ideatore della casa di reclusione modello di Bollate. “Il Beccaria non è un’isola in mezzo al mare, fa parte di un arcipelago: presenta le criticità di tutti gli altri istituti per i minorenni, specchio di un sistema che andrebbe riformato”, ha detto il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Milano, il magistrato Francesco Maisto.

Don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria che accoglie nella sua comunità Kayros tanti ragazzi che escono, sottolinea che oltre al combinato disposto di estate afosa, meno attività e celle affollate e chiuse che hanno innescato la polveriera c’è il sospetto “che tanti ragazzi facciano parte di una rete criminale, soprattutto egiziana, su cui bisognerebbe indagare”. E lo dice un educatore che ha coniato il motto “Non esistono ragazzi cattivi”. Morale: smettete di usare gli slogan politici e ascoltate chi si sporca le mani la realtà.

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