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La sicurezza è il futuro, una azienda spiega (a tutti) come farla

Maurizio Crippa

Maura Mormile, business development manager di Secursat, ci spiega come con l'innovazione tecnologica si possono rendere più sicure le nostre città

Ultimo allarme a suonare (anzi a non suonare) in città, quello dello stadio Meazza: c’era da anni un viavai di malavita e nessuno se n’era accorto. Poi c’è il senso di insicurezza dei cittadini, assediati dalla microcriminalità. Ma ci sono anche le grandi aree commerciali, con flussi di utenti in aumento, dove garantire la sicurezza è una sfida. Poi le imprese con il loro insediamento su territori spesso socialmente diseguali, o le banche che oggi non sono più minacciate dalle rapine, ma da altri reati diffusi, che chiedono nuovi tipi di protezioni.
Di sicurezza, in un contesto di urbanizzazione in continua crescita, di trasformazione demografica, si discute da molto tempo. Si può dire che sia uno dei temi chiave per il futuro della metropoli: assieme alla sostenibilità ambientale ed economica e alla digitalizzazione. Ma sulla sicurezza, seppure il dibattito pubblico la evochi spesso, la politica e la pubblica amministrazione (e anche le legislazioni) appaiono in ritardo, legate a schemi interpretativi e di intervento non più adeguati alla grande trasformazione in corso.

Come spesso accade, è invece l’innovazione tecnologica  e la capacità imprenditoriale privata a intuire in anticipo le necessità e a creare nuove soluzioni e modelli di intervento (e anche di business) che non di rado possono offrire indicazioni utili per tutti.

“Gli obiettivi per rendere migliori le nostre città, ma anche più sostenibili le nostre attività economiche e la vita sociale, sono complessi: ridurre le emissioni, migliorare la mobilità. Serve la condivisione di competenze diverse”, spiega Maura Mormile, giovane business development manager di Secursat, una società basata a Milano (l’altro hub è ad Asti) che si occupa si sicurezza per imprese economiche e istituzioni private in un modo estremamente innovativo. Bocconiana di formazione, ci racconta: “Un tema essenziale nelle nostre società è quello di aumentare la sicurezza, reale e percepita, dei cittadini o dei lavoratori senza allo stesso tempo limitarsi a vietare, sanzionare, chiudere”. Anche perché gli strumenti repressivi, che pure servono, hanno “il difetto” di intervenire sempre dopo. “Per questo nei nuovi scenari la chiave di volta può essere la tecnologia, insieme alla ridefinizione dei processi e approcci basati sulle competenze, superando così anche i limiti infrastrutturali delle aree urbane”.

E’ ciò che Secursat fa attraverso un approccio globale alla sicurezza totalmente tecnologico e digitalizzato e attuato da remoto. Un’esperienza che riguarda circa quindicimila siti produttivi, banche, aree retail di grandi dimensioni in tutta Italia. 
C’era una volta l’agente di sorveglianza, la ronda della pattuglia, i controllori agli ingressi con gli occhi fissi a una telecamera. “Quel modello è destinato a non funzionare più, soprattutto per realtà economiche di media e grande dimensione che investono molto nella qualità ed efficienza della sicurezza – basta pensare anche alla cyber-security. Oggi il controllo, il monitoraggio di un sito non può più basarsi sul personale fisico: sia perché è sempre più difficile da reperire, e spesso non è formato, sia perché i sistemi tradizionali non bastano più”.  Quindi invece di un lavoro fisico e analogico, ecco la scelta di controllo da remoto – attraverso due hub che raccolgono e gestiscono informazioni. Uno dei claim dell’azienda è: “Non servono mille telecamere, ma una intelligente”. Dice Giuseppe Calabrese, ceo di Secursat: “Il problema è sapere cosa chiedere loro, che risposte farsi dare, e poi che processare questo numero altissimo di informazioni. Attraverso la tecnologia digitale – ma è sufficiente anche la telecamera analogica se già esiste, spiegano “queste tecnologie inviano le informazioni ai nostri tecnici e analisti. I dati vengono raccolti, analizzati, servono per comprendere il tipo di sicurezza e intervento serva in un contesto. E il feedback con i nostri clienti-partner è costante, in tempo reale”. Faccia un esempio semplice. “Un bancomat, o una stazione di servizio. Con l’analisi dei dati siamo in grado di spiegare al cliente quali sono i punti o momenti di rischio sicurezza, ad esempio certe ore della notte. Sapere se una telecamera deve essere attiva sempre, e quali dati deve attivare”. Più che fare i controllori, si tratta di “gestire i rischi aziendali e prevenire gli scenari di crisi”. Nell’hub di Milano lavora personale specializzato, con un mix di competenze assai variegato: “C’è il laureto in criminologia, che noi formiamo per comprendere gli scenari di rischio, l’analista informatico, l’analista di dati, una vera governance complessa perché le competenze, oggi devono essere diverse e messe in relazione”, dice Mormile. Grande parte del lavoro è realizzare per le più diverse esigenze i sistemi di security, “La sicurezza è un processo diffuso e trasversale alle diverse aree di business delle organizzazioni”, è un altro punto focale del lavoro. La domanda che sorge è semplice: da una attività innovativa come la vostra, la pubblica amministrazione, la politica possono imparare qualche cosa? Certo, ma non basta “investire” in astratto, bisogna sapere che tipo di sicurezza si vuole realizzare, a partire da modelli nuovi. Ad esempio, in Secursat l’AI ha un ruolo importante, “aiuta a trasformare la passività delle tecnologie tradizionali in sistemi predittivi, automatici. Pensiamo a cosa potrebbe realizzare su un a città, anziche su una aziendea: riduzione della mobilità urbana, tempi di viaggio, incidenti, ma anche prevenire assembramenti, monitoraggio eventi e condotte criminose, pre-analisi e previsione di modelli di rischio”. La sicurezza oggi, parola magica spesso usata male, è qualcosa che può aiutare a costruire il futuro. Qualcuno ha già iniziato, e può essere utile per tutti.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"