Foto LaPresse

GRAN MILANO

Dopo lo skyline, è ora di immaginare (e fare) la città del futuro 

Mariarosaria Marchesano

50 anni di Coima e 10 di Porta Nuova. Catella guarda avanti. Non tutto è andato bene, Milano ha dimenticato dei pezzi

I migliori progetti nascono da un fallimento. E’ successo così al Bosco Verticale e a raccontarlo è Manfredi Catella in un librone ricco di foto d’epoca e aneddoti realizzato per celebrare i 50 anni del gruppo Coima, fondato da suo padre Riccardo. “Stavamo lavorando con Stefano Boeri da sei mesi a un progetto di tipo più tradizionale, quando ci rendemmo conto che era irrealizzabile ricominciammo da zero. O meglio, dagli alberi. I fallimenti sono parte di un processo evolutivo e spesso sono in grado di generare risultati straordinari”. Il Bosco Verticale, diventato famoso in tutto il mondo, è un po’ il simbolo di Porta Nuova e di tutta la rigenerazione dell’area circostante avvenuta grazie anche a un investitore internazionale come il fondo del Qatar che nel 2015 mise sul piatto tutti i capitali necessari per completare l’iniziativa avviata anni prima. Da allora sono passati quasi dieci anni e adesso per immaginarsi come sarà Milano nel futuro Catella ha deciso di chiederlo ai giovani, mettendo intorno a un tavolo di idee e progetti 130 studenti di 13 università di Roma e Milano. E’ una scelta coraggiosa poiché proprio i giovani sono quelli che trovano meno spazio a Milano a causa dei prezzi saliti alle stelle anche per effetto di progetti di riqualificazione urbana finanziati soprattutto da investitori esteri e da cui sono nati quartieri esclusivi. Così la città del lavoro, del merito, del riscatto sociale, è diventata più internazionale ma ha perso un po’ la sua anima: è la principale critica che viene fatta a quel modello.

Esiste un modo per recuperare una dimensione di inclusione sociale, leggi abitazioni a prezzi accessibili? Manfredi Catella ammette, ed è il primo a farlo, in un colloquio con il Foglio, che almeno un errore di sottovalutazione c’è stato. “Ciò di cui non ci siamo resi abbastanza conto è l’ampio impatto che avrebbe avuto la coesistenza di più progetti di rigenerazione urbana nel centro di Milano sulle aspettative di mobilità sociale della città – dice l’imprenditore – Ma per un’evoluzione più inclusiva occorre lavorare sulla programmazione delle iniziative, il che è compito soprattutto del pubblico”. Il privato oggi, però, parla molto di responsabilità sociale. Come si concilia con le aspettative di profitto che il centro di Milano ha sicuramente garantito agli investitori e che la costruzione di case a prezzi calmierati rischia di non soddisfare? “Penso che ci sia il modo coinvolgendo operatori istituzionali italiani, che a differenza di quelli esteri, hanno attese di rendimento più contenute”. I cosiddetti “capitali pazienti”? “Io ai capitali pazienti non credo molto, anche le casse di previdenza italiane si siedono al tavolo a discutere solo quando il rendimento atteso supera quello degli investimenti in Btp”.

Insomma, il problema è tutto qui. C’è uno sviluppatore che ha visione, progetta, magari coinveste, ma alle spalle ha soggetti che reclamano un ritorno che è assicurato solo quando i prezzi degli affitti sono abbastanza alti, non è così? “A volte si riesce a trovare una via di mezzo com’è successo con gli studentati del Villaggio olimpico, i canoni delle stanze per i ragazzi sono stati rivisti al ribasso senza modificare gli impegni presi con gli investitori grazie all’entrata nell’operazione di Cdp. Si può considerare un modello virtuoso”. Ma torniamo alle abitazioni e ai quartieri di Milano. Molti pensano che la ricchezza di una città sia basata sulla convivenza di diverse fasce sociali nello stesso quartiere. Come si fa? “Per avviare una nuova fase dell’abitare e del vivere occorre partire dagli obiettivi, che deve stabilire il Comune. Di quante case c’è bisogno a Milano, per chi e per quanti anni? Serve almeno un numero per cominciare a ragionare sulla sostenibilità finanziaria di progetti ispirati a questa visione. Se i soldi pubblici non bastano, occorrono quelli dei privati e il capitale ha sempre un costo”.

E questo sarà tema di confronto con il nuovo assessore alla Casa del Comune di Milano, Guido Bardelli, che dovrebbe essere il “regista” pubblico di una nuova era. Ha idee da suggerirgli? “Vedo tre possibilità per costruire case accessibili: rigenerare il patrimonio esistente, ci sono tanti edifici vuoti che potrebbero essere convertiti in abitazioni o studentati, come dimostra il bel progetto che sta realizzando l’Università Cattolica; puntare sulla riqualificazione delle aree che si trovano a ridosso dei nodi di interscambio: modificando gli indici di edificabilità si potrebbero creare quartieri con un mix abitativo; creare reti di città accorciando i tempi degli spostamenti. Faccio un esempio: a Genova ci sono 40 mila case vuote da 2.000 euro al metro quadrato. Sicuramente per chi lavora a Milano in sede e deve viaggiare tutti i giorni non è fattibile, ma magari per chi può usufruire dello smart working potrebbe essere una buona opportunità se i trasporti tra le due città venissero potenziati. Non esiste un’unica soluzione, probabilmente, ma un insieme di tasselli che formano un nuovo modello”. Milano è anche al centro delle indagini della procura che ha bloccato 150 cantieri sulla base di un’interpretazione delle norme urbanistiche più restrittiva rispetto a quanto ha fatto il Comune negli ultimi anni, che idea si è fatto? “Direi che le nostre interlocuzioni con i tecnici e i funzionari del Comune hanno sempre riscontrato competenza, mai ombre. E direi anche che è urgentissimo tornare ad avere un quadro di regole certe per gli investitori”.

Di più su questi argomenti: