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Gli hub e la food policy. Così Anna Scavuzzo spiega cos'è Milano

Cristina Giudici

Alla Cascina Cuccagna apre un nuovo polo contro gli sprechi alimentari, l'ottavo in tutta Milano: un modello che mette in rete stakeholder, associazioni di categoria e terzo settore per attuare politiche sociali contro le disuguaglianze e promuovere la ricerca 

Delega all’Istruzione e focalizzata sull’eccellenza milanese della Food policy, la “vice” come viene chiamata per antonomasia la vicesindaco Anna Scavuzzo, ieri ha inaugurato l’ottavo hub milanese dedicato al contrasto degli sprechi alimentari alla Cascina Cuccagna. Un modello, anzi un metodo come preferisce definirlo lei, che sta esportando in tutta Europa e nel mondo. “Si tratta di un processo avviato nel 2014 in vista di Expo e che ci ha portato a guidare una filiera internazionale perché lo sviluppo urbano deve andare di pari passo con quello delle politiche alimentari che servono a ridurre gli sprechi, a diminuire le diseguaglianze ma anche a promuovere la ricerca scientifica”. Pragmatica, anima riformista del Pd, la “vice” ha portato avanti un metodo che mette in rete stakeholder, associazioni di categoria e il terzo settore, con la regia del Comune di Milano. “Gli hub non sono una semplice raccolta e distribuzione di cibo”, spiega. “Dopo aver mappato i bisogni delle persone nei quartieri, abbiamo dato risposte alimentari attraverso degli hub nei quartieri che affrontano anche le politiche sociali”. Per Scavuzzo, Il primo hub pilota nato in via Borsieri è stato emblematico perché ha rappresentato un ponte fra la Milano che cresce in altezza e la città esclusa dalla ricchezza.

Grazie agli hub di quartiere nati con un progetto pilota avviato nel 2017 attraverso un protocollo di intesa tra Comune, Fondazione Cariplo, Assolombarda e Politecnico di Milano, realizzato nel 2019 con l’apertura del primo hub al quartiere Isola, il Comune ha vinto il premio Earthshot Prize istituito dalla Royal Foundation presieduta dal principe William. Un milione di sterline con cui Milano è diventata capitale delle politiche alimentari (nel 2023 sono state raccolte oltre 615 tonnellate di cibo per aiutare 27 mila persone). “Non si tratta di dare dei pacchi di alimenti ai più bisognosi ma di mettere a sistema le buone pratiche contro gli sprechi alimentari, raccogliendo le eccedenze per ridistribuirle e al contempo creare dei poli comunitari che realizzano diversi progetti per sostenere famiglie, donne, minori con un’attenzione alla ricerca, allo scambio degli open data e all’innovazione. Le politiche alimentari intervengono sulla filiera alimentare, la logistica, l’approvvigionamento, le mense scolastiche, gli sprechi, l’ambiente. Trovando un equilibrio fra chi pensa che la crescita porti diseguaglianza e non uguaglianza”, sottolinea la Sacvuzzo, scout nata e cresciuta fra Lambrate e via Padova. Inoltre, va ricordato, Milano guida il Milan Urban Food Policy Pact: il primo Patto internazionaleì che impegna i sindaci a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari e coinvolge 280 città nel mondo. Ma non c’è solo la food policy. 

 

                   


Per il resto, il “modello Milano” ormai claudicante ha ancora una visione? “Sì se il termine di paragone sono le altre città di italiane, ni se lo compariamo ad alcune città europee”, risponde la vicesindaca. “Milano non può più essere limitata all’area urbana centrale, altrimenti imploderà. Si deve superare la diatriba centro-provincia attraverso il funzionamento della Città metropolitana. Le posso fare l’esempio di Monaco di Baviera, Lione, Barcellona, la nostra città non può avere servizi di ogni genere concentrati nell’area urbana centrale, e relegare i ceti impoveriti all’esterno”. Bisogna lavorare sulla mobilità e far funzionare la Città metropolitana. “Non è solo una questione di finanziamenti, ma di avere consapevolezza della realtà: “La città metropolitana delle persone esiste già, manca ancora quella istituzionale. Ci sono le prefetture, le questure, gli uffici scolastici e persino le diocesi che sono metropolitane. Perciò anche i sindaci devono poter far parte della vasta area di Milano. Si deve cambiare la struttura politica. Un sistema in cui il sindaco di Milano guida anche Città metropolitana senza essere stato eletto, e i consiglieri delegati sono dirigenti di secondo livello senza retribuzione e base elettorale che diano loro un mandato preciso, non può funzionare. Ci vuole un sistema di mobilità e di servizi che trasformi l’area metropolitana in una grande comunità urbana integrata. I sindaci devono poter prendere decisioni autonome e assumersi le proprie responsabilità.

Detto questo, io non tornerei mai alla Milano di venti anni fa, perché non era una città più inclusiva”. E la sicurezza? “I dati parlano chiaro: la microcriminalità è in aumento, i ragazzi che arrivano da percorsi violenti, dalla strada, da percorsi migratori sono numerosi e bisogna poter intervenire per contrastare l’emarginazione; ma bisogna immaginare un paradigma diverso perché gli adulti hanno abdicato al loro ruolo di guida. Per questa ragione dobbiamo investire meglio sull’educazione, come stiamo cercando di fare per esempio con il protocollo d’intesa fra il Comune e la Fondazione oratori milanesi per prevenire la dispersione scolastica o con il potenziamento del progetto delle Scuole Aperte ai quartieri”. Quali sono la forza e le zona d’ombra di Milano, dunque? “A Milano funziona bene la cooperazione fra soggetti diversi, privati e pubblici, il terzo settore, le università; ma facciamo fatica ad avere una regia perché i rapporti con la Regione e il governo centrale sono complicati. Dovremmo essere capaci di contare di più, come accade nei comuni dei Lander in Germania che mantengono la propria autonomia indipendentemente dallo schieramento politico della maggioranza. E poi, ribadisco, bisogna trovare il modo per evitare che in alcuni quartieri e comuni dell’area metropolitana si concentrino sacche di povertà. Milano deve essere integrata e inclusiva”.