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Il Piano casa di Bardelli & Sala “è una rivoluzione dopo 70 anni”. Sì dei cattolici, nì dei costruttori 

Mariarosaria Marchesano

Il Comune mette a disposizione 21 aree per 300 mila metri quadrati e invita i privati a investire rispettando un parametro preciso. Dall’altro lato della barricata ci sono il mercato e il settore delle costruzioni, che ritiengono questo modello economicamente non sostenibile

Uno scontro culturale e politico sulla casa a Milano forse non si è mai visto così. Il nuovo piano del Comune, con una connotazione marcatamente “sociale”, presentato dall’assessore Guido Bardelli – che promette 10 mila nuove abitazioni con prezzi calmierati – è il segnale di una svolta fortemente sollecitata dal mondo cattolico-ambrosiano e sostenuta dalle cooperative bianche. L’idea è semplice: il Comune mette a disposizione 21 aree per 300 mila metri quadrati e invita i privati a investire rispettando un parametro preciso: il prezzo di affitto delle abitazioni non dovrà superare 80 euro al metro quadrato all’anno, che vuol dire da 400 a 700 euro al mese di canone a seconda della grandezza. Se anche una parte degli appartamenti verrà poi venduta, anche qui il prezzo dovrà essere calmierato.

 

Dall’altro lato della barricata c’è il mercato e il settore delle costruzioni, che ritiene questo modello economicamente non sostenibile e ha trovato nello studio realizzato dall’economista Carlo Cottarelli una conferma della propria posizione. Dal canto suo, il sindaco di Milano, Beppe Sala dice che a Milano un piano casa mancava da 70 anni e che quello di Bardelli può essere una rivoluzione. Sta di fatto che di fronte alla progressiva espulsione dal centro di studenti e classe lavoratrice, l’anima storica della città, un certo mondo milanese, con forte sensibilità sociale e religiosa, sta facendo quadrato intorno al piano casa di Bardelli che, noto ed esperto avvocato d’affari, da quel mondo proviene. Alla fine, però, bisogna anche vedere se i conti tornano, altrimenti c’è il rischio che la scelta dell’amministrazione Sala appaia più demagogica che sociale.

 

Guido Inzaghi, avvocato e presidente del tavolo urbanistico di Assoimmobiliare, cerca di riportare il discorso su un piano pragmatico. “Non sono sicuro che 80 euro al metro quadrato sia sufficiente per garantire un equo profitto agli operatori anche in considerazione dei costi di bonifica delle aree – dice al Foglio – Ma farei una prima considerazione sulla sostenibilità urbanistica del piano: c’è un tema di destinazione d’uso delle aree che bisognerà verificare nel dettaglio e l’eventuale necessità di piani attuativi considerando che sui progetti di sviluppo immobiliare di Milano incombe un’indagine della magistratura. A meno che il Parlamento non trovi in tempi stretti una soluzione di tipo legislativo, i permessi di costruire potrebbero dover seguire iter più lunghi e complessi se si superano limiti di altezza e cubatura. Poi dovrà essere valutata la presenza degli standard urbanistici nelle aree individuate per evitare di costruire nuove residenze in ambiti privi di servizi aggravando i noti problemi delle periferie. Ma diciamo che questi sono tutti problemi superabili”.

 

E allora che cosa non torna? “Un altro pezzo del piano casa milanese prevede l’adeguamento delle case comunali, spesso in condizioni manutentive drammatiche, ma riconosce la carenza dei fondi necessari. Qui si potrebbe ipotizzare la conversione in denaro della quota di Ers (edilizia residenziale pubblica) pari al 40 per cento che il Pgt richiede agli interventi privati residenziali. Con quei soldi il Comune potrebbe finanziare gli interventi di adeguamento e garantire il canone sociale. In questo modo verrebbe meno anche il forte limite alla costruzione di nuove case a Milano che, alla fine, non fa che aumentarne il prezzo”.

 

Insomma, c’è il rischio che insistendo sulle case sociali, i bandi che il Comune sta per emettere risultino poco attraenti per gli operatori di mercato. Che cosa ne pensano, allora, investitori con un profilo più istituzionale? Sergio Urbani, direttore generale della Fondazione Cariplo e direttore della Fondazione Housing Sociale fin dalla sua nascita, all’inizio degli anni Duemila, pensa che la proposta del Comune di Milano “meriti lo sforzo di tutti, anche della Regione Lombardia, che dovrebbe dare il suo contributo affinché si raggiunga la sostenibilità economica”. Vuol dire che per il momento questa sostenibilità non esiste? “Dico che il piano casa contiene dei presupposti molto interessanti, ma che bisogna lavorarci ancora per far trovare un punto di equilibrio. Bisogna tenere conto che i costi di costruzione di recente sono solo un po’ scesi, ma sono comunque il doppio di cinque anni fa. E che anche gli investitori istituzionali come gli enti previdenziali oggi chiedono un giusto ritorno sul capitale perché con quei soldi ci dovranno pagare le pensioni. Insomma, per esperienza dico che fare quadrare i conti in tema di housing sociale non è semplice, per questo sarebbe importante un coinvolgimento della Regione che dovrebbe partecipare a una svolta per rendere accessibile la casa alle future generazioni”.

 

Dunque, i conti del piano casa di Bardelli-Sala ancora non tornano. Ma attenzione, nel mondo cooperativistico c’è chi la pensa diversamente. E potrebbero arrivare da qui le prime manifestazioni d’interesse per le prime quattro aree che il Comune metterà a bando per la fine dell’anno con l’obiettivo di costruire 3.000 delle 10 mila case a prezzi calmierati promesse.