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GranMilano

Corvetto non è una banlieue. Un debunking necessario

Cristina Giudici

Dopo la morte di Ramy Elgaml ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia. Ma intorno nel quartiere c'è tanta società civile che cerca di strappare i ragazzi a un destino segnato

Sembra facile, se non automatico, dire che il Corvetto sia una banlieue su piccola scala ma la realtà è molto più frastagliata. E non solo perché non è una periferia remota ma un quartiere a un tiro di schioppo da Porta Romana e dal Duomo. Basta pensare alla rete delle associazioni che operano quotidianamente nelle stesse case popolari dove vivono i ragazzi italiani e di origini maghrebine in balia delle leggi della strada e della microcriminalità. Operazione ardua quella di stigmatizzare un quartiere che è vivace, dove studenti stranieri, istituzioni e progetti di riqualificazione urbana si mescolano alle dinamiche della microcriminalità e spaccio. Al Corvetto ci sono i volontari della comunità di Sant’Egidio che cercano di costruire un patto intergenerazionale, coinvolgendo gli studenti nel movimento dei Giovani per la pace e negli incontri con gli anziani “per provare a cambiare le loro prospettive, creare ponti laddove sono cresciuti tanti muri”, ci tiene a sottolineare Stefano Pasta, coordinatore minori della Comunità di Sant’Egidio nello spazio di aggregazione Living Together che si trova proprio dove sono scoppiate le proteste.

 

“Ci vorrebbe un grande investimento educativo e tutti dobbiamo porci qualche interrogativo sulle ragioni della loro frustrazione sociale, l’abissale distanza dalle istituzioni, pur senza giustificare gesti intollerabili come aver incendiato un autobus, lanciato bottiglie e petardi contro la polizia”. Alberto Sanna, fondatore e presidente di Dare Ngo, che al Corvetto lavora con gli studenti ci offre un’altra chiave di interpretazione. “Il Corvetto è prodotto di una miscela sociale che nelle case popolari mescola devianza a tanta aggregazione. Qui l’architettura di larghi viali e grandi piazze impedisce di creare dei fortini, ma abbiamo notato recentemente una pressione delle forze dell’ordine per riprendere il controllo. Non escluderei che le retate abbiano contribuito a creare quella rabbia che è scoppiata non solo per la morte ingiusta di un giovane”. E poi il Corvetto non è un quartiere solo di case popolari fatiscenti di Aler. Intorno alle vie più insidiose ci sono locali, librerie, movida e tanta società civile che cerca di strappare i ragazzi a un destino segnato. Non per tutti, dato che la fidanzata di Ramy Elgaml si è dissociata dalla violenza. “Non stiamo lottando per una morte, non vogliamo crearne altre”, ha detto lei che si chiama Neda Khaled e ha chiesto di  sapere la verità ma ha detto in un accorato appello che le fa male vedere urla, insulti, violenze. I distinguo che fanno la differenza fra un quartiere problematico e una vera e propria banlieue.