Far ripartire Milano è sacrosanto, ma il modello Sesto è più attrattivo. Parla il sindaco Di Stefano
Gli iter autorizzativi senza scorciatoie non tengono lontani gli investitori e chi fugge dalla città sempre più cara. I dubbi del primo cittadino di Sesto sulla flessibilità dei permessi edilizi del decreto Salva Milano, sottolineando la necessità di proteggere gli spazi verdi e i servizi sociali
Il decreto Salva Milano è positivo per trovare una via d’uscita al blocco immobiliare della città, il cui prezzo lo stanno pagando le famiglie che hanno acquistato casa nei palazzi in costruzione nei cantieri sequestrati. Però, se posso esprimermi sulla questione urbanistica, dico che a Sesto San Giovanni preferiamo limitare al massimo la flessibilità degli iter autorizzativi. E questo non ci impedisce di avere la fila di investitori e di accogliere sempre di più cittadini in fuga da Milano che è sempre più cara”. Roberto Di Stefano è da quasi otto anni sindaco di Sesto San Giovanni, eletto nelle liste della Lega. Si è insediato quando il più grande progetto di riqualificazione urbana d’Europa, quello delle ex aree Falck, era finito nelle secche dopo che i terreni, acquistati da Luigi Zunino all’inizio degli anni Duemila, erano già passati più volte di mano costringendo le banche esposte a subentrare. Ci sono voluti diversi anni prima che, a fine 2023, si trovasse un nuovo assetto tra privati e pubblico che ha consentito di far partire il rilancio dell’area a nord di Milano. Così Di Stefano è stato anche fortunato nel trovarsi all’interno di una fase risolutiva in cui operatori come Hines e Prelios, da un lato, Coima e Redo, dall’altra, e gli istituti di credito si sono messi finalmente d’accordo su cosa fare e la Regione Lombardia ha trovato il modo di sostenere il progetto della Città della Salute insieme con l’Istituto Tumori e il Besta.
“Il Comune ha fatto la sua parte definendo l’indirizzo urbanistico per tutta l’area – dice Di Stefano – Il nostro scopo è sempre stato di ottenere il massimo in termini di spazi verdi e servizi sociali all’interno di progetti realizzati da investitori che ambiscono, giustamente, a un profitto. Per esperienza, dico che un ente locale non dovrebbe mai rinunciare a questo tipo di negoziazione con i privati e non solo per incassare gli oneri di urbanizzazione, ma per aumentare la ricaduta positiva sui territori e per la collettività. E questa capacità negoziale si riduce di molto con iter autorizzativi veloci come la Scia”.
La critica alle procedure scelte da Milano non è neanche troppo velata da parte del sindaco di Sesto. Del resto, la Lega ha avuto una posizione non sempre chiara sul Salva Milano e sulla necessità di trovare una soluzione politica alla paralisi che si è creata con le indagini della magistratura. Il partito di Salvini è stato anche promotore di una vecchia versione del decreto, che appariva come una sanatoria mentre il Comune di Milano aveva sempre rivendicato la correttezza del suo operato. Poi, però, l’ultimo provvedimento è stato approvato dalla commissione Ambiente della Camera, con il voto favorevole di Lega e Pd che si sono trovati d’accordo su un’interpretazione autentica della legge urbanistica che, di fatto, riconosce la legittimità delle procedure messe in atto dalla giunta di Beppe Sala. Lei cosa ne pensa? “Guardi, all’inizio ero scettico, ma poi riguardando il testo del provvedimento dico che va bene. Milano non può restare paralizzata da questa vicenda. Ma dico anche che è giusto circoscrivere, come fa il decreto, l’uso della flessibilità nei permessi edilizi a contesti urbanizzati per evitare che nascano interi nuovi quartieri laddove non esistono servizi sociali e di trasporto. Questo aspetto, forse, andrebbe specificato ancora meglio a mio parere nella discussione al Senato anche per evitare che quello che è successo a Milano possa ripetersi in altre città”.
Tra Sesto San Giovanni e Milano esiste, però, una differenza fondamentale. Nel primo caso non c’erano alternative ai piani attuativi e agli accordi di programma tra Comune e privati poiché gli interventi di riqualificazione riguardano ex aree industriali dove, peraltro, il tema della bonifica è stato uno degli ostacoli più grossi da superare. A Milano, invece, sono stati bloccati dalla procura i cantieri che si trovano nel bel mezzo di una città già sviluppata e con un enorme fabbisogno abitativo. “Abbiamo anche sul nostro territorio ambiti dove è possibile offrire maggiore flessibilità agli operatori edilizi – replica Di Stefano, ma sono limitati rispetto a tutto il resto e sono convinto del fatto che la strada della negoziazione tra comuni e costruttori sia da preferire anche quando si allungano i tempi di realizzazione”.
Com’è stato fino a oggi fare il sindaco di quella che un tempo era la Stalingrado d’Italia? “Ho avuto gli occhi di tutti addosso – prosegue Di Stefano – Ma oggi possiamo dire di avere creato un polo urbano avanzato alternativo a quello di Milano con cui, comunque, è ben collegato e che è destinato ad attirare anche tanti giovani grazie alle eccellenze universitarie e della ricerca che avranno sede qui. Non a caso stiamo costruendo anche diversi nuovi studentati per almeno 3 mila posti letto”.
Una cosa hanno in comune, però, Milano e Sesto. In ambedue i casi si sta cercando una chiave più sociale dello sviluppo urbanistico, con piani per costruire case a costi calmierati, dopo anni di progetti più orientati a lusso e classi ricche.