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Il “Salva Milano” che il Pd rischia di affondare senza capirlo

Mariarosaria Marchesano

La preoccupazione di “speculazioni” in tutta Italia, sostenuta da un “appello”, non ci sono. Il ruolo dei comuni

Che il “Salva Milano” si sia impantanato a sinistra, mentre la destra che non lo amava ha da tempo cambiato posizione, è uno dei grandi paradossi di tutta questa storia, il cui ultimo atto è l’appello di urbanisti e accademici vari per fermare un decreto che, se approvato dal Senato, scatenerebbe addirittura la “grattacielopoli” in Italia. Per quanto nel documento vengano sollevati temi anche sensati, quello che gli “esperti” (non tutti esperti, i 140 firmatari, in verità) omettono di dire riguardo al rischio (presunto) di aprire le porte a ogni sorta di nefandezza urbanistica sul territorio nazionale è un concetto elementare e basilare: che ogni Comune è autonomo con il suo piano di governo del territorio, Pgt come si chiama a Milano, o piano regolatore, più diffusamente detto. La legge ha precisi limiti posti da altre norme. Ma anche solo paventare questo rischio è bastato per mettere in allarme il Pd che a questo punto potrebbe far mancare il suo appoggio alla norma che serve per aiutare la città di Milano a uscire da un corto circuito giudiziario-amministrativo-politico che sta penalizzando per primi i cittadini che hanno acquistato casa nei progetti finiti nelle inchieste della procura meneghina. Addirittura, come riportato da Repubblica, il Pd locale ha convocato un incontro online per spiegare agli iscritti passo passo il contenuto del “Salva Milano”, il che la dice lunga sul clima che si respira intorno al provvedimento che in teoria dovrebbe essere licenziato dal Parlamento entro fine anno. La levata di scudi della società civile sta rendendo molto più complicato al Pd, che è lo stesso del sindaco Beppe Sala, dare il suo voto favorevole al Senato come ha fatto alla Camera. Il tutto mentre il centrodestra tace godendosi lo spettacolo di una sinistra che si contraddice da sola in maniera anche molto plateale, se si considera la storia del Pgt di Milano.

 

Piccolo passo indietro. Il decreto “Salva Milano” altro non è che l’interpretazione autentica della legge urbanistica in vigore, che consente ai Comuni di utilizzare un approccio anche molto flessibile nei permessi edilizi se, però, c’è un piano regolatore sottostante che lo consenta. E a Milano c’è. Basta una breve ricostruzione di archivio e l’aiuto di chi ha memoria storica in campo amministrativo e urbanistico per rendersi conto che destra e sinistra, alternandosi a Palazzo Marino, hanno contribuito a creare uno strumento di governo del territorio (Pgt) che nel capoluogo lombardo ha consentito ampi margini di libertà nella rigenerazione urbana e nelle ristrutturazioni edilizie e previsto pochi casi in cui sia stato necessario il ricorso ai piani attuativi (solo per progetti su aree superiori a 20 mila mq). Ovviamente in altri Comuni non è così, ma non sarà di certo il “Salva Milano” a creare le condizioni per una deregulation, per esempio, del centro storico di Napoli, dove l’amministrazione del sindaco Manfredi resterà libera di far valere le sue regole. E’ stata la giunta di Letizia Moratti, con Carlo Masseroli assessore all’Urbanistica, in carica dal 2006 al 2011, a redigere e fare approvare il primo Pgt per così dire “libertario” di Milano, solo che volle attendere le elezioni prima di pubblicarlo, commettendo forse un (calcolato?) errore di valutazione politico. Le elezioni andarono male per il centro destra e fu eletta la giunta di Giuliano Pisapia, con Ada Lucia De Cesaris assessore all’Urbanistica. Ebbene, la connotazione marcatamente di sinistra non impedì a quella amministrazione un approccio molto pragmatico, in tempi in cui a Milano c’erano ancora molti quartieri da recuperare e riqualificare. Così il piano di Moratti fu rivisitato con modifiche, ma confermato nel suo impianto anche per quanto riguarda il concetto di “indifferenza funzionale”, che vuol dire piena libertà nei cambi di destinazione d’uso, insomma i condomini al posto delle carrozzerie. Poi è arrivata la giunta Sala, il sindaco dell’Expo e dei grandi capitali stranieri nella riqualificazione del centro di Milano, che, in effetti, hanno fatto schizzare i prezzi molto in alto e creato, forse, le basi di quel malcontento che ha preso forma nei ricorsi dei comitati dei cittadini alla procura. Si deve dire che Sala ha cavalcato quell’impianto di Pgt ma ha anche rafforzato negli interventi edilizi le quote di Ers, edilizia residenziale pubblica, per controbilanciare con una componente sociale. Si arriva così ai giorni nostri, dopo tanti anni in cui nessuno ha mai avuto nulla da eccepire, neanche i firmatari dell’appello contro il “Salva Milano”, come ha notato con una certa asprezza il sindaco. Ma questo adesso conta poco, poiché la morale della favola è che il problema di evitare che il “Salva Milano” favorisca la speculazione edilizia in tutta Italia praticamente non esiste, proprio in base all’autonomia di cui godono i comuni. E non può essere questo decreto a cambiare la natura del piano regolatore di un’altra città che fosse più conservativo di quello milanese. Chi fa politica e amministra, dovrebbe saperlo.

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