GRAN MILANO
“Salva-Milano” o toto sindaco? Ecco perché il Pd si è spaccato
Le storia del decreto. L'obiettivo chiamato Beppe Sala e l'area politica che rappresenta. Le pressioni e le divisioni dei partiti, tra quelli che ritengono di aver bisogno anche della sinistra e quelli che pensano che non può essere l'opposizione la base per sfidare il centrodestra
C’è un prima e un dopo. La storia del Salva-Milano (mai nome fu più improvvido e sciagurato) si compone di due parti distinte. Nella prima c’è un movimento composto dalla sinistra dei Monguzzi e compagni, e dal mondo dei comitati, che tra un accesso agli atti e l’altro ha fornito le “munizioni” per iniziare una guerra legale fatta di esposti e indagini della procura. Corrispondenze (quasi) esatte tra quanto avveniva in Consiglio e quanto al Palazzo di Giustizia. E’ la fase nella quale i gruppettari movimentisti hanno messo le basi per la loro battaglia. Ideologica certo, ma non priva di strategia sul lungo termine. L’obiettivo? Non bisogna farsi fuorviare: uno e uno solo, chiamato Beppe Sala, e l’area politica che rappresenta. Anche perché c’è poco da fare: quelle norme venivano applicate alla stessa maniera anche quando c’era Giuliano Pisapia, mai tirato in ballo. Insomma: il movimento carsico che determina la necessità del Salva-Milano è qualcosa di innestato nell’opposizione coriacea a Beppe Sala.
In questa prima fase il Pd è compatto. Una compattezza che non si attenua quando arriva una prima bozza del Salva-Milano, che poi viene stoppata e ricorretta con annesse polemiche. Una compattezza esemplificata da quell’immagine nelle riprese della Camera, mentre la deputata Silvia Roggiani, segretaria dem regionale oggi e metropolitana ieri, annuncia il voto favorevole al provvedimento. Intorno a lei ci sono tutti gli esponenti delle correnti più a sinistra del Pd, e di Avs, e tutti gli altri. Un quadro di generale coesione, a fine novembre 2024. Meno di un mese e mezzo fa. Poi però succede qualcosa. Ed è la seconda fase in questa storia. Il Partito democratico inizia a rompersi, a sfaldarsi. Al Senato si inizia a mugugnare. E pure a Milano le fila non sono più serrate. L’ex candidato governatore e oggi capogruppo in Regione Pierfrancesco Majorino concede una intervista al Fatto che si pone su una linea assai intermedia tra quella di Silvia Roggiani, che è la sua segretaria, e quella di Monguzzi e comitati. E’ solo uno dei momenti in cui si verifica una spaccatura che pare aggravarsi ogni giorno di più. Invece di fare silenzio e andare verso l’approvazione celere della norma, come chiede il sindaco, le voci si moltiplicano. Gli esponenti del Pd vicini alla sinistra che conduce la battaglia fanno a gara a parlare. Il centrosinistra milanese è diviso tra chi pensa che la giunta vada difesa “ma anche” che qualche ragione chi ha fatto gli esposti ce l’abbia e chi pensa invece che le norme erano quelle, venivano applicate così e dunque che non c’è niente di cui giustificare in tribunale: per cambiare le regole si lavori con la politica. Per questi secondi ovviamente il Salva Milano è l’espressione dell’ovvio, e quindi serve a scacciare fastidiose illazioni. Per i primi, invece, la questione è più complessa. Necessita mediazioni, correzioni, correttivi, digestivi per digerire il boccone. Che poi, andrà proprio ingoiato? L’arte del “dare il lungo“ è assai praticata in Italia. Se non fosse che Beppe Sala se la prende, e non poco. Chiama Elly Schlein e minaccia le dimissioni. E lei prende tempo, non si esprime sulla vicenda, e del resto non si esprime quasi mai sui temi in cui non è comodo prendere posizione, e del resto poi già incalza il pasticciaccio brutto della Sardegna, frutto dell’incompetenza abissale del M5s, e ci sono talmente tante emergenze, cari voi, che pure il Salva-Milano doveva infliggerci l’inizio del 2025? Che seccatura.
In definitiva, tra quella prima fase e quest’ultima, che cosa è successo? E in sole cinque-sei settimane compresi i giorni di festa? Niente di ufficiale, ma molto di concreto nelle fucine del consenso politico milanese. L’avvenimento più importante è stato infatti l’inizio della corsa (siamo al riscaldamento, ma il clima è già surriscaldato) verso la scelta del candidato sindaco di centrosinistra per il dopo Sala. A dare il segnale d’avvio era stato proprio il sindaco, che prima aveva lanciato il ballon d’essai Mario Calabresi (che starebbe iniziando a radunare una serie di sostenitori, malgrado la smentita) ma subito dopo aveva messo in discussione il sistema delle primarie. Che, del resto, il Pd aveva seppellito in occasione della corsa per il Pirellone. Motivo? Beppe Sala, e chi con lui, sa perfettamente che fare le primarie vuole dire offrire su un piatto d’argento la candidatura a Pierfrancesco Majorino, che vuole fare, eccome, il primo cittadino di Milano. E che avrebbe chance e appeal in una città nella quale i diritti contano, le periferie non votano (e se votano, poco, lo fanno a destra) e c’è molto benessere. Del resto, non è un segreto che tra Majorino e Sala negli ultimi mesi è sceso il gelo. Mai con polemiche aperte, proprio fino al momento in cui sulla successione di Sala i due si confrontano con dichiarazioni pubbliche contrapposte proprio sulle primarie. E’ il 10 ottobre, ed è un po’ uno spartiacque. Da quel momento in poi il Pd si balcanizza, ma in silenzio, senza dibattito pubblico. C’è chi sta con Majorino, e chi invece non vuole Majorino. Lui fa circolare i risultati di un sondaggio che sono lusinghieri: il centrosinistra vincerebbe in modo netto, e lui è uno dei più conosciuti e con più credibilità. Tutto bello, ma c’è da capire che cosa farà e dirà Sala, che può essere kingmaker, e può essere kingslayer.
Alla fine sulla vicenda del Salva-Milano si montano e si contano le pressioni e le divisioni, molto più comprensibili alla luce della fase di pre selezione del candidato. La linea di faglia è tra quelli che pensano che il candidato debba essere un uomo della sinistra del partito pronto a ribaltare (un po’ populisticamente) il mito del “modello Milano” e quindi contrario a “salvare questa Milano” e quelli che invece vorrebbero Mario Calabresi o comunque qualche Papa straniero di area liberal, un riformista insomma. Tra quelli che ritengono di aver bisogno anche della sinistra di Avs, M5s, e corbaniani vari e quelli che invece pensano che non può essere l’opposizione al Salva-Milano la base della piattaforma sulla quale sfidare il centrodestra.