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Ansa
GranMilano
La guerra delle banche, possibilità o minaccia ai “territori?”
Popolare di Sondrio contro l’Opa Bper, ma anche Banco Bpm vs Unicredit. Tra “biodiversità”, credito e venti di crisi
Se non è una dichiarazione di guerra poco ci manca. Il Consiglio di amministrazione della Banca popolare di Sondrio, di fronte all’offerta pubblica di scambio arrivata da Bper, ha usato toni duri per dire che non è stata in alcun modo “sollecitata, discussa o concordata”. Come ai tempi della riforma delle banche popolari, l’istituto valtellinese guidato da Mario Alberto Pedranzini alza barricate e si prepara alla “resistenza”. Tale posizione è sostenuta non solo da vari comitati di piccoli azionisti che vorrebbero che l’istituto continuasse a essere autonomo, ma anche da un tessuto culturale ed economico “colto”, vicino al mondo cattolico, da sempre impegnato a difendere il concetto di banca dei territori e di “biodiversità” per l’origine cooperativistica (come lo è stato, peraltro, il Credito Valtellinese, acquisito da Credit Agricole). L’aspetto singolare è che l’opposizione a Bper sembra quasi prescindere da quelle che sono le condizioni economiche della proposta, vale a dire il prezzo: “L’offerta – si legge nella nota ufficiale – è motivata dall’obiettivo di realizzare le condizioni per la fusione della Banca nell’offerente (Bper, ndr), con il risultato di far venire meno l’autonomia giuridica e decisionale di Bp Sondrio, e quindi il ruolo quale istituto di riferimento per famiglie, professionisti, imprese di piccole e grandi dimensioni, istituti ed enti locali nei contesti economico-sociali in cui opera, situati nelle aree di maggior ricchezza e dinamismo del paese”. Come dire: è un’operazione che in ogni caso conviene a voi e non a noi.
A quattro anni dalla trasformazione in spa, avvenuta a dicembre 2021 dopo una lunga battaglia ideologica e legale contro la legge di riforma, il clima a Sondrio non è cambiato. E a poco sembrano essere serviti i ponti che Unipol, con il suo Dna di coop modenese, ha cercato di costruire da quando, nel 2021, ne è diventata la principale azionista (oltre a esserlo di Bper). A prescindere da come andrà a finire, il caso Sondrio, ma in parte anche quello di Banco Bpm che si ribella a Unicredit, solleva ancora una volta il tema del rapporto tra banche, mercato e territori soprattutto in una regione economicamente forte come la Lombardia. “Le banche fanno benissimo a perseguire un obiettivo di consolidamento che le renderà più forti e resilienti di fronte a un peggioramento del ciclo economico che mi pare abbastanza vicino”, dice al Foglio Andrea Monticini, professore di Economia all’Università Cattolica, che spiega di non condividere la preoccupazione esasperata della violazione di “identità” territoriali che altro non sono che un sistema di relazioni personali tra banche e clienti. “La storia ci insegna che una banca più grande è in grado di assorbire meglio i periodi di recessione, come quello che abbiamo visto tra il 2008 e il 2018 in cui tante realtà sono fallite sotto il peso di una gestione inefficiente e di crediti deteriorati. Detto questo, proprio perché con le aggregazioni bancarie aumenta il potere di mercato nelle mani di alcuni soggetti, è necessario assicurare che vengano rispettate condizioni di concorrenza anche in singoli territori”. Dunque, un antitrust nazionale particolarmente attento? “Esatto, è questo che lo stato dovrebbe garantire piuttosto che partecipare direttamente alle operazioni”. In che modo? “Accanto a grandi gruppi e a banche pan-europee deve potersi sviluppare e convivere un sistema di casse rurali e di risparmio che integri e completi l’offerta di credito ai piccoli imprenditori e alle famiglie come succede in altri paesi. Capisco che questa fase di consolidamento bancario, che sta avvenendo a cavallo della trasformazione tecnologica con la scomparsa di sportelli, possa provocare un certo disorientamento. Ma fa parte dell’evoluzione del sistema finanziario che per mantenere condizioni di efficienza deve poter crescere di dimensione”.
Una delle critiche che viaggia sotto traccia su fusioni e acquisizioni è che l’unico vero movente di chi fa le offerte sia quello di preservare le politiche di remunerazione degli azionisti, che in questi anni sono state molto generose grazie ai ricchi profitti realizzati con i tassi d’interesse elevati. Insomma, si sente parlare troppo di “sinergie di costi”, che alla fine vogliono dire tagli di strutture e di personale, e poco di promuovere il credito alle imprese. E ieri il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha messo in evidenza che si è aggravata la carenza di finanziamenti soprattutto alle pmi, anche se ha precisato che questo avviene per carenza di domanda. “Sicuramente, nelle grandi banche i criteri di erogazione sono più razionali e meno personali rispetto alle piccole banche. Ma questo è anche un bene”. In che senso? “Partiamo da un punto: non c’è da sorprendersi che ci sia un calo di domanda di credito delle aziende in un momento in cui la produzione industriale del paese è ferma. Temo che, tra crisi della Germania e dazi americani, non si possa escludere l’arrivo di una fase recessiva di cui il sistema manifatturiero della Lombardia potrebbe soffrire più di altri perché connesso con quello tedesco. Quando si avvicinano questi periodi è prevedibile che ci sia un aumento dei prestiti in default. In questi casi la dimensione aiuta e chi si oppone alle fusioni bancarie dovrebbe anche spiegare come intende fare fronte al calo dei profitti che inevitabilmente arriverà con la riduzione dei tassi d’interesse e all’aumento delle sofferenze che peseranno sui bilanci”. Riflessioni che sicuramente a Sondrio staranno facendo in previsione del nuovo piano industriale 2025-2027 che sarà presentato il 12 marzo.