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Gran Milano

Musei che parlano e altri no. Le idee di Carrada e Bradburne

Francesca Amé

"Le strade dell'arte", mostre e attività che "provocano assuefazione e anestetizzano il visitatore". L'idea di durare un mese nell'anno olimpico. È il gran ritorno a Milano di Bradburne, colui che ha trasformato la Pinacoteca di Brera “in un ottimo esempio di museo che parla agli spettatori"

Questa è una settimana speciale per i musei della città: quasi centocinquanta istituzioni, tra pubbliche e private e poi archivi, case-museo, fondazioni, gallerie e musei d’impresa, nell’all inclusive di Milano Museo City propongono – è il titolo dell’edizione 2025, la nona – “Le strade dell’arte”, ovvero mostre e attività particolari per i visitatori. Per la prima volta l’iniziativa passa da cinque a sette giorni con l’idea di durare poi un mese nell’anno olimpico: senza voler fare i pompieri di cotanto entusiasmo, c’era proprio bisogno di questa “museo week” (da notare poi che tra un mese esatto ci sarà l’Art Week e poi la Week delle Weeks, ovvero la Settimana del Design)? “Abbiamo un problema di base qui in Italia, e Milano non fa eccezione: è un problema tanto ingombrante che finiamo per non notarlo. I musei non parlano, o parlano poco ai pochi che li visitano”. Così al Foglio Giovanni Carrada, una vita al fianco di Piero e Alberto Angela come autore di programmi tv e ora curatore di progetti di divulgazione culturale.


Di passaggio in città, il romano Carrada è stato ospite della Fondazione Luigi Rovati (“non lo dico per piaggeria ma questa sì che è una realtà che sa dialogare col suo pubblico”) dove ha presentato giusto ieri sera il suo ultimo libro, “Perché non parli?”, edito da Johan&Levi editore. Si comincia da un dato: sette italiani su dieci non mettono mai piede in un museo. “Esistono barriere di accesso al patrimonio che non sono le barriere architettoniche: quanti musei anche a Milano hanno didascalie poco leggibili o chiare? Quante mostre hanno scarsi pannelli informativi? In quanti musei ci si perde? Siamo bravissimi nella ricerca e nella tutela dei beni artistici, ma ci manca l’ultimo miglio: offrire a chi visita gli elementi per capire davvero ciò che vede e, di conseguenza, mettere in moto i pensieri utili a comprendere che cosa c’entra con la sua vita. Ovvio che che ci si emoziona davanti a Caravaggio o Munch, ma può bastare l’emozione di un momento? Gli eventi sono esperienze spot, il museo deve fare il museo, non la location: deve saper spiegare sé stesso in modo talmente memorabile che la gente ci vuole tornare”, dice con impeto.  


“Ascoltando Carrada ho pensato mi leggesse nel pensiero”, commenta al Foglio James Bradburne, anche lui chiamato in Fondazione Rovati per discutere del libro in un incontro moderato da Daniela Bruno, direttrice culturale del Fai. E’ il gran ritorno di Bradburne a Milano: lui che ha trasformato la Pinacoteca di Brera “in un ottimo esempio di museo che parla ai visitatori” (cit. Carrada), ora si definisce “un pensionato” (ovviamente non gli crediamo: è appena atterrato da Londra, dove il British Museum lo ha invitato per una conferenza, e dalla sua casa di Firenze fa di continuo la spola con Reggio Emilia per lavorare al Centro di ricerca internazionale per la letteratura dell’infanzia). JB quotes raccolte per questa pagina: “Quel che manca a molti musei in città è la coerenza e una visione a medio-lungo termine: si vive alla giornata. Appena arrivato a Brera ho detto: ‘Niente mostre temporanee, si lavora sull’accessibilità della collezione permanente’. Sì ai dialoghi tra le opere e a didascalie più curate. Con gli eventi attiri il pubblico, ma non lo servi”. Quel verbo specifico, “servire”, torna varie volte: “Il museo è al servizio della città e del cittadino, il museo deve servire il popolo”. Riluttante a commentare le ultime vicende culturali della city (l’aver mancato di un soffio, causa obbligatorio pensionamento del Mic, l’apertura di Palazzo Citterio sui cui tanto e bene aveva lavorato fa ancora male), Bradburne qualche sassolino se lo toglie: “Qui si fatica a gestire i musei perché è enorme la pressione politica cui i direttori sono sottoposti”. Sugli onnipresenti sponsor: “So bene che è difficile resistere: in otto anni ho detto no a tanti brand ed eventi a Brera: sono fiero di non aver arraffato tutto ciò che mi veniva proposto. Serve coerenza anche in queste scelte per non confondere il pubblico»”. E poi: “Eventi e mostre temporanee nei musei sono come una droga. Provocano assuefazione e anestetizzano il visitatore”. Musei milanesi che funzionano: “Non mi piace fare classifiche sulla città. Insistiamo: “Alessandra Quarto (vice di Bradburne a Brera ai tempi, ndr) al Poldi Pezzoli sta facendo un ottimo lavoro, coerente con lo spirito del museo che dirige”. 

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