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GranMilano

Pro e i contro di vivere fuori Milano: tra numeri veri e pregiudizi

Mariarosaria Marchesano

Centro e periferia sempre più care, aumenta il numero di persone che se ne va dalle città. Vivere “fuori città” nel resto d’Europa non è uno stigma come un po’ è considerato a Milano per ragioni forse di provincialismo culturale

Una ciambella un po’ irregolare è la forma del “fuori Milano”, cioè di tutta l’area lunga 60 chilometri che circonda letteralmente la città. La mappa dettagliata del reddito medio che abita all’esterno del perimetro milanese nei 300 comuni che si estendono tutt’intorno è stata disegnata dal secondo rapporto Oca (Osservatorio casa abbordabile) realizzato dal Consorzio Ccl e Lum in collaborazione con il Politecnico di Milano, arrivando alla conclusione che a Milano un operaio può acquistare al massimo 19 metri quadrati, un impiegato 25 e in buona parte della cintura del territorio un reddito medio non basta per acquistare 50 metri quadrati. Con il mutuo, naturalmente (GranMilano ne ha parlato settimana scorsa col presidente di Ccl, Alesandro Maggioni). La morale della favola è che si sta allargando la forbice tra costi abitativi e capacità economica e questo spinge sempre di più le persone ad andare ad abitare dove le case sono più abbordabili. Addirittura, la ricerca costruisce degli indici di “abbordabilità” delle diverse categorie lavorative Inps facendo emergere quanto critica ormai sia diventata la situazione per operai e impiegati, e in una certa misura anche per i quadri, se si parte dal presupposto che la spesa per la casa, mutuo o affitto che sia, non dovrebbe superare il 30 per cento del reddito mensile netto. “Occorre guardare al mondo che c’è fuori Milano, non come a una disperata scelta per pezzenti, bensì come valida alternativa di buona vita in una giusta casa – spiega nella premessa Maggioni – Oggi ci sono le condizioni per ripensare a una nuova fase programmatica sul trasporto metropolitano, per rispondere al bisogno abitativo di tutte quelle persone normali che, ogni giorno, contribuiscono a fare di Milano la brillante città di cui tutti parlano”.

   

Tutto il rapporto, sulla cui valenza scientifica ci sono pochi dubbi, per livello di approfondimento, qualità della ricerca e anche per il livello di dibattito che ha suscitato la prima versione con il coinvolgimento di varie università in tutta Italia, appare, però, ispirato da un approccio ideologico. Tende, infatti, a mettere in discussione quello che negli ultimi 10-15 anni è stato il modello di sviluppo immobiliare di Milano che, avendo dato spazio a fondi di investimento internazionali, ha generato una tale ascesa dei prezzi da aggravare le disuguaglianze sociali dovute a redditi che non si sono adeguati al caro vita. Ma non tiene conto del fatto che in tutte le capitali europee si è verificato lo stesso fenomeno: abitare a Londra o a Parigi è, da molto prima che lo diventasse per Milano, altrettanto complicato per le classi medie di quei paesi.

   

Ma, diciamolo, vivere “fuori città” nel resto d’Europa non è uno stigma come un po’ è considerato a Milano per ragioni forse di provincialismo culturale. Vero anche, come sostiene l’Osservatorio, che i servizi essenziali di una grande metropoli – sanità e trasporti in primis – rischiano di essere messi in discussione se la classe lavoratrice che li fa funzionare non riesce a trovare una dimensione abitativa che renda il luogo di lavoro accessibile in tempi ragionevoli.

   

Oggi i comuni fuori Milano offrono opportunità insediative più abbordabili, “ma a costo di sacrifici economici e personali dovuti alla necessità di spostamento”. Quello che è successo si può riassumere in questi pochi dati: tra il 2015 e il 2023, sia nel comune di Milano che nel resto della città metropolitana, i prezzi di compravendita degli immobili residenziali sono cresciuti del 58 per cento, i canoni di locazione del 45 per cento, mentre gli stipendi di operai e impiegati sono aumentati, rispettivamente, del 9 e del 10 per cento. In pochi anni, mentre i grandi sviluppatori esteri hanno riqualificato interi quartieri milanesi, contribuendo a rendere, oggettivamente, la città anche più bella e attrattiva, si sono polarizzate le categorie sociali complici, anche fenomeni come quello dell’immigrazione e degli affitti brevi. La “riccanza” da un lato, i “maranza” dall’altro, e in mezzo un ceto medio, che, disorientato e deluso, si è via via spostato nelle zone limitrofe dove, però, storicamente, risiedono anche centinaia di migliaia di persone per scelta e godendo spesso di una qualità urbana elevata, tant’è, mette in evidenza lo studio, che ci sono comuni che hanno un reddito medio più elevato di quello milanese (più a nord che a sud della città). Accortosi del malcontento che serpeggiava, il sindaco Beppe Sala ha cercato di imprimere una svolta in chiave sociale alla politica abitativa del Comune: realizzare alloggi “abbordabili” all’interno della cinta urbana. Il caos scoppiato con le indagini della magistratura e con il Salva Milano, ormai naufragato, hanno, però, portato alle dimissioni dell’assessore Guido Bardelli, chiamato da Sala a ideare un Piano Casa che ha già suscitato dubbi sulla sua fattibilità anche tra gli operatori di mercato. Ora la palla è passata nelle mani dell’assessore Emmanuel Conte (non del neo assessore alla Casa Fabio Bottero, nato demansionato), il quale ha la delega al Demanio oltre che quella al Bilancio. Conte ha, così, davanti la sfida di rendere economicamente sostenibile la costruzione di nuove abitazioni a prezzi calmierati, in teoria circa 10 mila destinati nei prossimi dieci anni a chi ha un reddito compreso tra 1.500 e 2.500 euro al mese. Concessione gratuita delle aree demaniali e costi di bonifica a carico del Comune dovrebbero essere la chiave per ottenere una risposta positiva da parte delle imprese di costruzione quando il 28 maggio scadranno i primi due avvisi di gara. Milano è a un bivio e se si aprirà una nuova fase dipenderà anche da come Conte, figura tecnica e di formazione laica, riuscirà a mettere a terra il Piano Casa pensato da un giurista cattolico come Bardelli. In alternativa, c’è sempre l’opzione fuori Milano a patto, però, che i trasporti migliorino.

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