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Gran Milano

Il congresso della Lega parla di lunga stabilità del sistema-Matteo anche in Lombardia

Fabio Massa

Cos'è cambiato dopo il voto che ha riconfermato Salvini come leader del Carroccio? Nulla, di fatto. Il sistema blindato delle rappresentanze nazionali e di quelle, cruciali, delle del nord. Le verifiche saranno i voti

Non cambia niente, soprattutto qui al nord, in chiave nazionale la partita è d’altra natura. E che cosa sarebbe dovuto cambiare? Il congresso della Lega, che ha portato all’elezione di un nuovo Consiglio federale, non fa altro che confermare quello che gli addetti ai lavori (molto meno i commentatori esterni) sostengono da sempre. Primo: non c’è una alternativa a Matteo Salvini a livello federale. Secondo: non è il Consiglio federale il luogo dove si scaricano le tensioni interne o che afferiscono alle diverse sensibilità di diverse aree del partito.
 

Sono lontani i tempi in cui Gianluca Pini e Gianni Fava davano battaglia, e ancor più lontane le polemiche con Umberto Bossi, che invece di non candidare più gli oppositori li espelleva direttamente. Oggi il Federale è un luogo di confronto ma mai di spaccatura. Oltre 50 persone, di cui 22 elette al congresso. Di queste, solo 6 sono espressione non del nord. Due del Lazio e le restanti quattro dal sud.
 

E la Lombardia? Come ne è uscita? Bene. Ha il gruppo più numeroso, con sei delegati eletti su sei candidati. Il Veneto, ad esempio, ne ha quattro. Di questi sei la metà sono di Milano, anche se rappresentano aree differenti. Silvia Sardone è infatti la pasionaria della base, Luca Toccalini il rappresentante dei giovani padani, l’ex segretario Fabrizio Cecchetti ha tutta la zona del rhodense. Completano il quadro il bresciano Bersani, il cremonese Bossi e poi il numero uno della Valtellina, nonché assessore tra i più influenti in Lombardia, Massimo Sertori. La scelta dei delegati non è casuale: riunifica e lenisce tutte le possibili spaccature.
 

Luca Toccalini sarebbe potuto essere infatti uno sfidante per Massimiliano Romeo prima che ci fosse una candidatura unitaria. Nel Federale poi siedono di diritto i ministri e i governatori. Così anche le altre province vengono rappresentate: ad esempio Attilio Fontana e Giancarlo Giorgetti appartengono a Varese, Roberto Calderoli è di Bergamo. A Milano (anche se qualcuno lo scorda) appartiene Matteo Salvini stesso. A Monza il segretario della Lega Lombarda che è anche capogruppo, e quindi facente parte del Consiglio federale, di diritto. Qualcuno ha notato che al congresso non ha partecipato il Senatùr. Ma che Umberto Bossi non sia più in condizioni ottimali, e che l’età avanzi, è un fatto evidente. Quello che si sa un po’ meno è che una settimana prima dell’appuntamento di Firenze Roberto Calderoli e Matteo Salvini sono andati a cena dal Fondatore e – pare – abbiano avuto l’approvazione per la strategia totale. Rimane sul piatto quella disponibilità di Salvini a farsi da parte. Quando? Non prima di quattro anni, scollinate non solo le prossime politiche ma anche le prossime europee. E in mezzo c’è di tutto: dal Veneto che ribolle alla Lombardia che Fratelli d’Italia reclama per sé, dal Comune di Milano alle scelte nel Lazio e a Roma.
 

È chiaro che la madre di tutte le battaglie sarà però la Lombardia. Su questo si sta concentrando l’attenzione di Massimiliano Romeo, e su questo si consumerà la sfida più difficile dei prossimi anni. Perché senza la Lombardia la Lega perde un baricentro. E la scelta dei delegati al consiglio federale pare confermare questa sensazione. I giochi però sono ancora molto al di là dall’essere fatti: la Lombardia verrà infatti discussa non con il Veneto, contrariamente all’opinione di alcuni, ma con il Lazio, e Milano con Roma. Insomma, è sull’asse tra le capitali che si giocano gli equilibri in un centrodestra che pare in bilico sui continui litigi tra Forza Italia e Carroccio più che interni alla Lega di Salvini.

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