Il Pd che riparte dai territori. Parla il candidato (alla regione) Alfieri
L’idea è di fare alla Lombardia una cura dimagrante, perché “la Regione deve svolgere un ruolo legislativo e di programmazione”
E’ dal giugno 1995 – un secolo fa – che la sinistra non siede più nella stanza dei bottoni del Pirellone. Oltre vent’anni di purgatorio, popolato da sconfitte brucianti e marginalità mortificante. Nel 2013, dopo l’inchiesta giudiziaria che portò alle dimissioni di Roberto Formigoni, erano in molti a credere che il Pd e la sinistra, col candidato giusto, avrebbero sfondato. Non è andata così: il pragmatico Roberto Maroni, con una coalizione di centrodestra, ha battuto Umberto Ambrosoli – il figlio dell’uomo simbolo di un’Italia che alla fine degli anni ’70 cercava il riscatto dell’etica – con 2 milioni 456 mila voti contro 2 milioni 194 mila dell’avversario. Ora – nel mezzo della crisi del Pd a trazione renziana, tocca ad Alessandro Alfieri, che ha sbaragliato il centrodestra in tutte le elezioni amministrative, togliendo anche Varese alla Lega, fare l’impresa. A giocarsi la candidatura sono in tre: Alfieri, “sono a disposizione del Pd per candidarmi, abbiamo vinto in tutte le consultazioni elettorali, sarebbe singolare se mi tirassi indietro. Ma non ho mai messo le mie ambizioni personali davanti a un obiettivo ambizioso come la riconquista del Pirellone”. Poi Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura cresciuto all’ombra dell’Expo, e Giorgio Gori, al quale palazzo Frizzoni (Bergamo) va stretto. Alfieri ha giocato d’anticipo “per non commettere gli stessi errori della volta scorsa, quando siamo partiti troppo tardi”, e vuole bruciare i tempi delle primarie tanto da avere per l’estate il candidato già in corsa. Ma il suo Pd non sta con le mani in mano, il lavoro fatto in questi anni si è tradotto nella bozza di un programma, da verificare sul campo, ma già delineato. L’idea è di fare alla Lombardia una cura dimagrante, perché “la Regione deve svolgere un ruolo legislativo e di programmazione”.
Basta con l’impero delle partecipate voluto da Formigoni e Maroni, “si rischia di moltiplicare i centri di costo e non è un caso che le indagini delle procure si siano concentrate proprio li. Il perimetro della Regione si riduce perché deve fare il lavoro di programmazione e mettere in grado i comuni di gestire i servizi. Sono i comuni il terminale naturale a contatto coi cittadini, che hanno tutto il diritto di esercitare un controllo capillare”. “Alla Regione – prosegue Alfieri – tocca la gestione del servizio sanitario che può contare su di una struttura – medici, ricercatori, operatori – di grande qualità”. Priorità sociali: “Il nodo da sciogliere sono le liste d’attesa, e per questo occorre un piano di abbattimento radicale che passa anche da una intesa tra pubblico e privato”. “E’ necessario poi prendere atto che in Lombardia il costo della vita è maggiore. E per questo vanno costruiti strumenti che riconoscano a chi lavora una integrazione del reddito. In Lombardia la vita costa di più, i servizi sono migliori è vero ma però si pagano. La Regione può pensare a degli incentivi che riconoscano un sistema d’integrazione al reddito”. “L’altra priorità è il trasporto pubblico locale. Occorre investire sul ferro, Maroni non ci ha mai creduto fino in fondo. Servono scelte radicali.
C’è il nodo delle alleanze, in una realtà ormai tripolare. “Innanzitutto – spiega Alfieri – Abbiamo bisogno, dopo il 4 dicembre che è stato un passaggio traumatico, di riallacciare i rapporti sul territorio. Un riformismo solo dall’alto segna il passo. Mi riferisco alle associazioni di categoria, quelle sociali, il terzo settore, corpi intermedi innovativi. Era giusto dare una bella scossa ai corpi intermedi in crisi di rappresentanza, però allo stesso tempo ora bisogna costruire con soggetti che lavorino attivamente al progetto”. E poi non c’è una sola Lombardia. “Il centrosinistra va bene nei comuni capoluogo dove è forte il voto d’opinione e la presenza di ceti innovativi; nelle comunità più piccole facciamo fatica. Noi vogliamo costruire un programma per ogni territorio.”. Per Alfieri occorre andare oltre i vecchi schemi ideologici. “Ci sono amministratori locali che non si riconoscono più nelle vecchie etichette, sono interessati a un progetto alternativo alla Lega che ha abbandonato il tema dell’autonomia”. Sguardo a sinistra: “E poi guardiamo con interesse il lavoro di Giuliano Pisapia, sul fronte della sinistra che vuole lavorare col Pd e vuole assumersi la responsabilità di una proposta di governo”.
Dall’altra parte c’è però Maroni: i sondaggi e la graduatoria dei governatori più amati lo premiano. “I sondaggi vanno presi con le pinze e poi ricordo la parabola del giovane sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, che a tre settimane dal voto era – per i sondaggi – l’amministratore più amato dagli italiani ed è stato battuto dallo “sconosciuto” Depaoli. Maroni è un galleggiatore, un figlio della Prima Repubblica. La sua colpa è di non essere stato in grado di garantire la discontinuità che aveva promesso in campagna elettorale, sventolando le scope. I problemi sono tutti li. I controlli sulle partecipate non funzionano, gli scandali si sono succeduti comunque. Il taglio dei ticket e del bollo auto sono ancora al palo e la riforma socio sanitaria segna il passo. Il giudizio dei lombardi è negativo”. “Maroni si candida in solitudine. Dopo le interviste di Salvini e il mancato voto della Lega a Tajani sarà interessante capire chi lo sosterrà ancora”, conclude Alfieri. Per capire bene quali saranno gli schieramenti in campo occorrerà attendere la primavera del 2018. A meno che, qualcuno, giochi la carta delle elezioni anticipate.