Stella: un Corriere non da classe dirigente
Il giornale della borghesia milanese dovrebbe non solo riflettere sul proprio ruolo, ma soprattutto domandarsi quali idee intenda indicare, come visione del presente e del futuro, ai suoi lettori
Un uccellino pettegolo tutte le settimane ci porta un chicco di miglio di notizia da Via Solforino. Ma quello è un gioco, per dire a Urbano Cairo che una città come Milano molto s’attende, dal nuovo corso proprietario del grande quotidiano di Milano. La settimana scorsa, su questo giornale, Giuliano Ferrara ha provato a spiegare, senza spocchia e con simpatia, all’editore del Corriere della Sera che essere popolari, andare alla legittima ricerca dei lettori e interpretarne persino gli umori non è la stessa cosa, proprio no, di giocare di sponda, o fare le mosche cocchiere, con l’antipolitica. E con il movimento che più oscenamente sta soffiando e lucrando sull’antipolitica. Ma giocare con l’antipolitica è un vecchio vizio del Corrierone: bisogna saperlo.
Il giornale della borghesia milanese, della classe dirigente milanese – che contrariamente a quanto lamentano i pessimisti il nostro giornale continua a ritenere che esista – dovrebbe non solo riflettere sul proprio ruolo (riflettere è un po’ noioso, ammettiamolo) ma soprattutto domandarsi quali idee intenda indicare, come visione del presente e del futuro, ai suoi lettori. Che sono l’Italia, perché il Corriere della Sera ha necessariamente una prospettiva nazionale. Ma è anche un giornale milanese, se Milano vuol dire anche essere un modello: non presuntuoso, ma virtuoso. Aveva, appunto, una prospettiva nazionale l’editoriale di ieri di Gian Antonio Stella, “L’arma impropria della giustizia”. Ma indicava la via sbagliata. Con l’aria di voler circoscrivere la portata del caso Consip (visto che ormai danneggia il partito del giudici…) l’editorialista della Casta ha fatto, in puro stile Stella, un breve affresco tendenzioso dei rapporti tra politica, giustizia e opinione pubblica in Italia negli ultimi venticinque anni. L’ha presa da lontano, Stella, da quando mezzo mondo politico – i manettari e la “gente nova” – adulava Tonino Di Pietro. Bisognerebbe segnalare che il giochetto di assegnare al centrodestra (Gasparri, Berlusconi, persino Casini) il successo politico di Tonino, glissando alquanto sul fatto che alla fine fu D’Alema a candidarlo nel Mugello, un po’ zoppica. Ma non è qui il punto.
Lo scopo dell’editorialista della Casta è ovviamente un altro, è ovviamente l’oggi. E lo scopo, particolarmente intimidatorio nel tono, è avvertire la politica di non toccare la magistratura. Certo, la politica è cinicamente avvezza a elogiare i magistrati quando colpiscono gli avversari, e a farsi garantista quando tocca a te. E fin qui, aria fritta. E Stella, siccome ha più sovoir faire di Travaglio, concede pure che “la tentazione di gonfiare o sgonfiare ogni mossa dei giudici a seconda di chi è nel mirino è ben presente anche nel Movimento” di Grillo. Ma i campioni, ovviamente, sono altri. Ma il punto è ancora altrove. L’obiettivo di Stella è dire che un conto è “vigilare sì, sempre, sul lavoro della magistratura e gli eventuali abusi”, bontà sua. Però, nel giorno il cui la pataccata dell’inchiesta Consip risplende come il sole a mezzogiorno, il bestsellerista della Casta ha i coraggio di dire: “Basta. Il buon senso, però, suggerisce di lasciare anche che i magistrati lavorino”. Il buon senso? E soprattutto, con fare da manganellatore e una venatura antidemocratica da lasciare basìti, conclude: “O c’è chi pensa che possa essere la politica, rovesciando le parti, a esercitare le funzioni di supplenza e magari a scegliersi i giudici volta per volta?”. Per arrivare a dire che la politica “esercita funzioni di supplenza”, deve essere accaduto qualcosa di grave, nel dna di un giornale come il Corriere.
La cosa è questa. Travestito con esibito terzismo, da venticinque anni il giornale della borghesia milanese sputa sulla politica, e inneggia all’antipolitica per via giudiziaria. Lo fece ai tempi di Tangentopoli, lo fece quindici e dieci anni fa, quando alla tifoseria dipietrista, finita fuori moda, fu sostituita la teologia della Società Civile, pronta ad assumersi le funzioni di supplenza della politica (leader pervenuti, tra quelli lanciati dal Corriere? Nessuno). Da dieci anni a questa parte c’è la retorica anti-casta.
Che adesso, sempre con quel tono da “noi passiamo per caso”, si va tramutando in un esplicito sostegno all’antipolitica grillina.
Non è esattamente la guida di cui una città martire del giustizialismo – una città che ci ha messo un decennio buono a ritrovare se stessa, una classe dirigente, una progettualità – ha bisogno. Un città che ha lasciato vuota l’Aula dove Tonino voleva celebrare le nozze d’argento con le manette. E in cui tre giorni fa gli avvocati delle Camere penali hanno organizzato un flashmob a Palazzo di giustizia per contestare le norme che allungano i processi. Una città, e un’Italia, che ambiscono ad essere europee si meritano qualcosa di meglio di questo insinuante, tartufesco, e minaccioso sostegno all’antipolitica. Si meritano un Corriere da classe dirigente.