Gianni Fava (foto LaPresse)

L'outsider della Lega e il sovranista

Fabio Massa

Chi è Gianni Fava, il candidato alla segreteria della Lega che incarna lo spirito di Bossi: "Ci sono persone che sono nel movimento da 30 anni e che mi hanno detto che non avrebbero più preso la tessera se non ci fosse stata la mia candidatura"

Guai ai vinti. Eppure di essere sconfitto, Gianni Fava, al congresso della Lega nord, non ha proprio paura. Anzi. Lui è l’outsider (per ora), lui è il candidato di rottura con la linea sovranista del segretario federale Matteo Salvini. Ma è soprattutto il custode della lezione bossiana. “Mi sono candidato per rappresentare un’area. Mica sono stupido: so che c’è un vincitore annunciato, che è Salvini – racconta al Foglio Fava, mantovano e assessore regionale all’Agricoltura – Ma la mia sfida è raccogliere mille firme, partecipare alla contesa e dare peso politico a un’area all’interno della Lega”. Ecco, appunto, questione di pesi. “Ma non chiamatela minoranza, per piacere”, prega Fava. Ha ragione: già col Pd non ha portato proprio benissimo. E poi si sa, anche i pesi possono essere falsati. E trattandosi di Lega Nord, l’aneddoto di Brenno, il capo dei celti, non fa una piega: “Vae victis”. L’unico modo per non falsare i pesi e uscire dall’ombra, per quell’area politica del Carroccio che non vuole assolutamente l'abolizione dell’articolo 1 dello statuto, quello che reca come finalità della Lega Nord “il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”, è partecipare al congresso. Fava l’ha capito perfettamente. Incarna lo spirito del Senatùr (Fava: “Non so che cosa farà, ma sono convinto che la pensa come me”), che nel marzo scorso è tornato con la sua voce roca a indicare precise scelte strategiche e tattiche. Altro che antieuropeismo (lo ha raccontato il Foglio), all’Hotel Cavalieri di Milano, invitato dal fido Roberto Bernardelli, Bossi diceva piatto piatto: “L’Italia ci porta via cento miliardi di euro, la Ue due”.

 

Patrioti europei? Forse anche no, ma sicuramente un cambio di priorità rispetto a quelle di Salvini. Fava lo dice chiaramente: “Sono in Lega Nord da sempre, ci sono persone che sono nel movimento da 30 anni e che mi hanno detto che non avrebbero più preso la tessera se non ci fosse stata la mia candidatura. Quello che Salvini non capisce è che la mia candidatura lo aiuta, tiene unita la Lega. Certo è che lui dice cambiamo tutto, facciamo una cosa nuova. Io invece dico che dobbiamo rinnovare nella tradizione e nei nostri concetti di base”. Il famoso articolo 1, quello della secessione. Oggi i salviniani scommettono che non verrà mai cambiato, anche vincesse il “Teo”. “Detto che l’articolo 1 non si tocca, comunque io non credo nei totem. Io distinguo la tattica dalla strategia. La strategia è quella della Lega, che deve rimanere il sindacato del Nord. Bossi è arrabbiato per questo. Mica si può archiviare tutto, si rischia di far saltare in aria il Carroccio”, dice Fava.

 

Posizione coraggiosa, quella di outsider. “Ma non è una posizione contro qualcuno. Io non ho rapporti idilliaci con Salvini. Tuttavia la questione personale qui non ha proprio valore. La mia è una posizione politica, capito?”. Capito. I rapporti tra i due, comunque, si guastarono al tempo in cui Fava si espresse a favore della legalizzazione delle droghe leggere. Roba di sinistra. “Ma ce lo ricordiamo Bossi, sì o no? – continua Fava – La Lega non è di destra o di sinistra. La Lega è sopra. La Lega è per chi ci garantisce l’indipendenza. Per questo l’appuntamento più importante adesso è il referendum sull’autonomia della Lombardia”. Niente svolte sovraniste, lepeniste. “Quella roba là, ci colloca a destra. Ci definisce in modo troppo preciso. Invece di quella svolta, dobbiamo appoggiare il percorso che ci porta al referendum di ottobre”, spiega Fava. Chissà come l’ha presa Roberto Maroni, la candidatura del suo assessore. Con le elezioni regionali alle porte, il progmatico governatore tutto cerca tranne le tensioni interne al suo stesso partito. “Ci conosciamo da tanti anni. Della mia candidatura ha appreso dai giornali. Certo, credo che ne avrebbe fatto volentieri a meno, per lui è un problema in più e di questo mi dispiace. Ma lo faccio per la Lega Nord”. E anche un po’ per la Lombardia, perché in tutto questo la sfida è tra un candidato di Mantova (Fava) e uno di Milano (Salvini). Veneto non pervenuto. “La Lombardia è azionista al 50 per cento della Lega Nord. Metà degli iscritti è lombardo. Tra l’altro, tanto per capirci, io sono stato vicesegretario della Lega Lombarda prima con Giorgetti e poi con Salvini. Questo bisognerebbe ricordarlo”. A proposito di ricordi, c’è chi rammenta di quando Salvini andò a commissariare Mantova, la casa di Fava, dove c’era un segretario, Cedrik Pasetti, vicino appunto all’assessore regionale, che per 11 voti aveva sconfitto il candidato del segretario federale, Andrea Dara. Pasetti era vicino alle posizioni bossiane: silurato. Fava oggi non commenta: “Quello è il passato”. Classe 1968, due figli, consigliere provinciale per 17 anni, sindaco del suo paese (Pomponesco), Fava è un uomo pratico. Dal 2006 al 2013 è in Parlamento. Partorisce un emendamento, che passa in Commissione, per la rimozione di contenuti coperti da copyright dal web. La sinistra si indigna definendola legge bavaglio, il Pd parla di allarme rosso e scoppia la bagarre. Qualche anno dopo, la proposta via Twitter sulla legalizzazione delle droghe leggere. Prima il governatore Maroni ritweetta, poi spiega: “Non condivido questa apertura". Lui, Fava, tira dritto: “E’ un mio pensiero che non impegna la Lega. Comunque questo dimostra che non era concordata”. Appunto: concordare. Verbo difficile da coniugare per Fava. Non ci sono giochetti, non ci sono trattative sotto banco. Come quelle che – pare – alcuni esponenti starebbero intavolando per ottenere la riconferma a Roma il prossimo giro in Parlamento, malgrado ci siano molti più posti degli uscenti. Ma si sa, in tempi di congresso le rappresaglie del vincitore sui vinti sono sempre possibili. Guai ai vinti, i celti lo sanno. Vale anche per i nipotini padani, ma a Fava non importa proprio nulla di perdere, “pur di salvare la Lega Nord”.

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