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Giovanni Gorno Tempini, da Brescia agli stand

Business and men

Chi è il riservato manager partito dal mondo Bazoli, passando da Intesa e Cassa depositi e prestiti

Giovanni Gorno Tempini, quest’anno, festeggia due ricorrenze: i 55 anni, compiuti lo scorso 18 febbraio, e i 30 anni d’attività professionale. Ma forse lo schivo, educato, riservatissimo, posato e garbato professionista, nato a Brescia e formatosi alla Bocconi, non pensava di dover maneggiare proprio a questo giro di (doppia) boa una delle patate più bollenti, industrialmente, strategicamente e, soprattutto, politicamente parlando, della sua carriera: da presidente della Fondazione Fiera Milano, deve definire il destino e il futuro del suo principale asset, ovvero il numero uno italiano delle manifestazioni fieristiche. Il tutto, sotto i riflettori della Borsa e della magistratura. Una partita complessa che si è accollato, subentrando lo scorso settembre a Benito Benedini. Ma chi è, da dove arriva, che carriera ha avuto, Gorno Tempini, ex di Monica Rossi, consultant dei cacciatori di teste di Russell Reynolds Associates chiamati, en passant, a indicare il nuovo amministratore delegato di Fiera Milano? Figura, quest’ultima, individuata in Corrado Colli, manager con un curriculum adeguato ma compromesso – almeno agli occhi della magistratura, che ha sventolato il suo “niet” – per una prescrizione (2013) per un’accusa di bancarotta fraudolenta risalente ai tempi della new economy.

 

La folgorante ascesa del banchiere bresciano, partito nel 1987 dagli uffici di JP Morgan (vi restò fino all’inizio del Duemila assumendo incarichi sempre più importanti, da Milano a Londra), ha vissuto di fatto la svolta nei soli sei anni trascorsi in seno alle strutture di Intesa Sanpaolo, della quale è tutt’ora consigliere d’amministrazione. Entrato nel 2001 alla corte della banca milanese, già presieduta dal bresciano finanziariamente più illustre e potente della storia moderna, il professor Giovanni Bazoli, trova posto in Caboto, ne ha scalato le gerarchie fino a diventarne l’amministratore delegato. Per poi essere promosso, per un breve lasso di tempo (2006-2007) a responsabile dell’area Finanza e Tesoreria di quello che oggi è il principale istituto di credito del paese.

 

Successivamente, grazie alla buona stella di Bazoli, che nel corso degli anni lo aveva conosciuto e apprezzato – a Brescia si dice che le due famiglie fossero vicine da sempre –, nel novembre 2007 il banchiere venne posto a capo di Mittel, la boutique o salottino buono da sempre nell’orbita del Professore. Bazoli, classe 1932, era presidente di Mittel e aveva nei capitali (a leva e in prestito) della Carlo Tassara di Romain Camille Zaleski il cavallo di Troia per le scommesse a Piazza Affari e non solo. Peccato che poi, nel post bolla targato Lehman Brothers, Zaleski iniziò la sua lunga e infinita discesa, arrivando a una sommessa uscita di scena.

 

E’ proprio in seno alla Mittel che Gorno Tempini ha dovuto affrontare, andandosene però prima dello showdown, la prima grande grana della sua carriera: l’acquisto, strapagato (50 milioni il controvalore totale tra cash e azioni Mittel) nel 2008 di E.Capital Partners, società di consulenza specializzata in finanza etica che fatturava 16 milioni con poco meno di 8 milioni di ebtida. Un deal mai capito dal mercato e soprattutto mai digerito dalla piccola finanziaria milanese abituata fino a quel momento a vivere soprattutto di plusvalenze legate a operazioni di private equity e arrivata perdere in un solo anno ben 38 milioni. L’acquisto di E.Capital Partners fu voluto proprio da Gorno Tempini, sicuro dello sviluppo del business etico e sostenibile. Peccato che di lì a poco, settembre 2010, ma con il banchiere bresciano fuori dai giochi (a maggio dello stesso anno se n’era andato, chiamato a Roma dalla Cdp), il nuovo vertice di Mittel dovette correre ai ripari rivendendo la società ai fondatori per una valore di soli 17,8 milioni.

 

Nonostante l’insuccesso, Gorno Tempini venne chiamato dall’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti alla guida della strategica Cassa depositi e prestiti. Un ruolo centrale che poteva contare sul gioco di sponda del trio composto da Tremonti, da Bazoli e pure da Giuseppe Guzzetti, il plenipotenziario, dal 2000, dell’Acri, la casa delle fondazioni bancarie italiane, azioniste (15,93 per cento) della Cdp. Ora, per il top manager bresciano voluto da Maroni e Sala alla presidenza della Fondazione Fiera, un’altra partita complicata.

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