Vi spieghiamo chi è "Pippo" e come cambierà il business della moda d'autunno
Nell’ambiente se parla da mesi, sempre con questo nickname perché il ministero dello Sviluppo economico non intende rivelarne i contenuti almeno fino a giugno
La madre di tutti gli eventi della Milano della moda del prossimo settembre è in realtà un padre e si chiama Pippo. Nell’ambiente se parla da mesi, sempre con questo nickname perché il ministero dello Sviluppo economico non intende rivelarne i contenuti almeno fino a giugno, così come Davide Rampello, ex presidente della Triennale e del Carnevale di Venezia nonché curatore dell’immaginifico Padiglione Zero dell’Expo, che è stato incaricato di seguirlo. Divinus halitus modi, per dire, anche un po’ filologicamente. Nell’attesa di capire come Rampello intenda coinvolgere i superciliosi buyer internazionali e al tempo stesso il vasto pubblico in quella che, a quanto risulta al Foglio, sarà una serie di installazioni di grande suggestione sulla cultura manuale del made in Italy montate in cinque punti rappresentativi del centro, le associazioni della moda sono sulle spine, e per due validi motivi.
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Il primo: tutte vorrebbero farne parte. Rampello è infatti una garanzia per evitare scivoloni di gusto e di senso. Non tutte le associazioni, però, avranno accesso diretto e dedicato all’evento Pippo. Il Mise, e su questo punto il sottosegretario Ivan Scalfarotto che se ne occupa in prima persona è stato molto chiaro, intende infatti destinarlo in via principale alle associazioni e ai relativi settori che nel semestre invernale non organizzano fiere a Milano come Mido (occhiali, fiera a febbraio), Federorafi, Milano Unica (tessili, fiera a luglio), cosmesi (buona parte della produzione nell’hinterland milanese, fiera a Bologna a marzo) e conciatori (fiera a ottobre). Restano dunque esclusi i pellettieri, i calzaturieri e i pellicciai in mostra a Rho (Mipel, Micam, The One), che organizzeranno il proprio evento, e naturalmente i grandi brand associati alla Camera della Moda come Gucci, Prada, Armani, gente che però è in grado di fare da sé con dovizia di mezzi e che infatti, pur tenendo d’occhio l’evoluzione di Pippo, sta lavorando a sua volta in totale segretezza alla serata dei “Green Carpet Award” che si terrà al Teatro alla Scala il 24 settembre.
Ma la faccenda è ancora più complicata.
Il piano do ut des del ministro Carlo Calenda a sostegno del made in Italy (i quarantacinque milioni messi a disposizione nell’ultimo triennio che potrebbero essere raddoppiati con la prossima legge di bilancio), se e alle condizioni di governo che saranno date, si sta infatti rivelando molto fruttuoso, ma non privo di difficoltà di ordine organizzativo e diplomatico in un settore altamente referenziale come la moda. Se Calenda è riuscito infatti a spazzare via tutti i particolarismi, usando l’arma sempre convincente dei finanziamenti, le duplicazioni fra eventi e la dispersione di risorse, le tempistiche e l’organizzazione di certe manifatture che, come la pelletteria, rientrano in una logica di filiera, richiedono però un’attenzione diversa. Da cui l’impasse di voler mostrare i denti al mondo presentando il made in Italy del tessile-abbigliamento come un sistema compatto, coeso e potente due volte all’anno, quando alcuni l’hanno fatto fino ad oggi una volta sola e ognuno come gli andava. E qui arriviamo al nodo centrale, cioè l’uniformità fra gli eventi ma soprattutto la ripartizione dei costi. Pur nell’ottica generale e condivisa di favorire l’export e soddisfare i palati raffinati dei compratori di moda, non si può certo impedire alle fiere di organizzare seratone con le cubiste modello Riccione o sfilate senza una chiara direzione di regia o di styling; di certo sarebbe un peccato che si evidenziassero delle difformità fra i vari eventi, per una volta tutti allineati. L’incognita vera restano però i costi. Il Mise, dopo aver dato le direttive e offerto un piano generale dell’iniziativa, cioè Pippo, non può, né intende, intervenire nella sua organizzazione o gestione. Offrirà il contributo previsto dal piano a sostegno del made in Italy, cioè il venticinque per cento, e il resto spetterà alle associazioni. Direte, ma con tutti i soldi risparmiati in questi anni grazie ai contributi, godranno di importante liquidità. Ecco, appunto. Qualcuno sì. Il piano Pippo, par di capire, arriva anche per questo. Per evitare future sbavature registiche.