Se avete dubbi sul libro dell'estate, vi diciamo quale non leggere

Fabio Massa

Rileggere qualche volume su Milano per scoprire che, in molti casi, i toni cupi della pubblicistica moralista-declinista sono stati smentiti dai fatti

C’è chi in valigia mette qualche libro nuovo, per portarselo sotto l’ombrellone, e c’è chi ci mette qualche libro della propria libreria, giacente lì da anni. Letto molto tempo fa, e poi dimenticato, salvo che per alcuni dettagli. Qualche libro che parlava di Milano, magari, ma con tono un po’ così, da profeti di sventura, e a ripensarci adesso, toh!, ma che idee si erano fatti di Milano, gli autori di quei libri? Meglio rileggere, e dare una controllata. Per scoprire, in molti casi, che i toni cupi della pubblicistica moralista-declinista sono stati smentiti dai fatti.

 

C’era l’Expo, un paio d’anni fa, e c’era ad esempio il libro-catalogo di tutte le malefatte e del sicuro fallimento che ne sarebbe derivato. A rileggerlo oggi, “Excelsior. Il gran ballo dell’Expo” di Gianni Barbacetto, Chiarelettere, pur con tutte le bazzecole giudiziarie che tormentano l’ex Mr. Expo e oggi sindaco Beppe Sala, fa un effetto buffo: dopo che l’Expo c’è stata, ed è stata un successo. E Barbacetto ancora non se n’è fatta una ragione. C’era stato, prima, un libro del 2009 di Marco Alfieri, “La peste di Milano”, in cui al bravo autore era un po’ scappata la mano, nel dipingere uno scenario da imminente crollo dell’impero che poi non ci fu: sono cambiate giunte e politiche, e persone, ma il “sistema Milano”, inteso come la sua capacità di funzionare, è ancora lì. Meglio rileggersi, di Alfieri, il bel libro che aveva scritto l’anno prima, 2008, “Nord terra ostile”, dedicato a spiegare i motivi della debolezza della sinistra da queste parti d’Italia. Un libro “renziano” ante litteram, ma che per come si stanno mettendo le cose nella sinistra milanese di oggi (vero, Pisapia?) potrebbe tornare di attualità.

 

Ma per chi volesse provare una sensazione un po’ più straniante, e fare una meditazione estiva su come poco ci azzecca il giornalismo del puro pessimismo, c’è “Milano da Morire”, un classico, diciamo. Copertina arancione, edizioni Bur collana “Futuro-Passato”. Scritto da Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa e pubblicato nel maggio 2007. Offeddu è uno bravo. Inviato speciale del Corriere della Sera. Ferruccio Sansa è al Fatto quotidiano, dopo essere stato inviato del Secolo XIX. I due, dopo l’inizio della consigliatura di Letizia Moratti, che nel 2006 vinse contro l’ex prefetto Bruno Ferrante, mettono nero su bianco quello che definiscono “un grido di dolore, e insieme di amore”. In prefazione c’è già un po’ tutto quello che poi si svolge nelle altre pagine (ben 552): “Noi pensiamo che (...) Milano sia a una svolta molto importante della sua storia. Da una parte, c’è la strada che porta all’Europa: a modelli come Barcellona, Helsinki, e – perché no? – anche Londra. Dall’altra c’è la decadenza, la malattia, la perdita definitiva di un’identità. Di questa malattia, si notano già alcuni sintomi: ma i familiari dell’ammalata – noi tutti – sono un po’ distratti, e a volte finiscono per abituarsi anche alla febbre. Non ci si accorge che, dai letti vicini, altri pazienti si sono alzati, e vengono lodati da tutti per la loro capacità di recupero. Pazienti che, per esempio, si chiamano Roma, o Torino”. Milano, invece, stava per morire, a dare ascolto ai lungimiranti autori. Nelle centinaia di pagine di Offeddu e Sansa, ce n’è per molti volti ancora noti. Come Giuseppe Bonomi che tutti lodano oggi in Arexpo, ai tempi era stato scelto alla guida della Sea, crocifisso perché “leghista”. La pagina 95 è dedicata a Claudio De Albertis, il compianto presidente della Triennale, uomo che destra e sinistra hanno stimato e rispettato, e oggi rimpiangono. Ma allora era nel mirino come “vicino al mondo di Cl” e perché difendeva il maxi-piano parcheggi elaborato da Albertini (che sarà un successo, ndr). Il capitolo 8 è dedicato a Filippo Penati: pagine e pagine per spiegare l’affaire Serravalle: Dopo dieci anni, la vicenda è stata azzerata dai giudici. E dopo dieci anni non si sente neppure più parlare di “TEOM”, ovvero le strane particelle ultra inquinanti che ci avrebbero sicuramente ucciso di lì a breve.

 

C’è l’allora assessore Zampaglione che sembra la Raggi, “Milano è sporca, insozzata da cacche, cartacce, perfino vecchi materassi: ma è colpa anche dei troppi cittadini maleducati, noi del Comune non possiamo fare miracoli”, mentre gli autori ipotizzano un futuro di domeniche a piedi e chiusura del centro: dieci anni dopo le domeniche a piedi si sono dimostrate uno spreco ideologico di denaro pubblico con zero utilità. E la chiusura del centro – ironia della sorte – è una proposta leghista giudicata da molti allora irrealizzabile, e oggi superata “a sinistra” dall’Area C. Il capitolo tre è eloquente: “Vivere a Milano. Una città inospitale”.

 

E poi c’è la previsione, quella fantastica: “Appuntamento al 2016. Chi si aggirerà per Milano tra meno di dieci anni si troverà davanti un panorama molto diverso. E non parliamo dei grattacieli che stanno crescendo ovunque. No, intendiamo un paesaggio umano differente”. E ancora: “Nel 2016 infatti facendo due passi per le strade intorno al Duomo sarà più facile incontrare un sessantenne che un trentenne”. Siamo nel 2017, tutti questi grattacieli in giro non si vedono (salvo i nuovi quartieri, peraltro vanto di Milano) e la quantità di anziani, ad occhio, almeno dietro al Duomo, pare la stessa. Anzi, pur nel disastro demografico italiano, Milano è la città che tutti gli indicatori socio-economici segnalano tra le più attrattive per i giovani: studio, possibilità di lavoro, e quant’altro. Ma il meglio arriva a pagina 360: Milano preda di topi, zanzare e addirittura del “cerambice dalle lunghe antenne”. Un coleottero killer. Si sarà estinto in questi 10 anni, probabilmente, poiché stragi da cerambice dalle lunghe antenne, le cronache non ne hanno registrate. Cose che dovevano essere, e sono finite nel nulla. E anche cose che non dovevano esistere, ma in quegli anni il giornalismo mainstream ci inzuppava il pane: come il processo a Silvio Scaglia, ad di Fastweb, processato in quegli anni via carta stampata sul caso Metroweb: anche quello estinto, ma dopo aver fatto strage, in questo caso sì, della buona giustizia. Ma questa, quella della giustizia, è una lunga storia, a Milano, non ancora scritta.

 

Per dirla con Calvino: leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà. Ma forse, sotto l’ombrellone, vi verrà piuttosto da pensare: a volte si leggono cose date per vere e che poi non sono mai accadute. A Milano, quantomeno.

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