Tutto ciò che c'è da sapere su Mario Delpini, nuovo arcivescovo di Milano. Un libro
Nato a Gallarate nel 1951, terzo di sei figli, in seminario a Venegono a 16 anni, per anni vi ha insegnato greco e patrologia. E poi molto altro
Che preferisca andare in bicicletta, con tanto di giubbotto catarifrangente, lo abbiamo ormai tutti capito, e chissà se continuerà a farlo, ora che sarà costretto a spostare la residenza nel centro storico, all’Arcivescovado. Che sia un uomo ironico, e soprattutto autoironico – dote non proprio diffusa negli alti gradi dell’episcopato cattolico – lo scopriremo presto. Ma i milanesi hanno iniziato a farsene un’idea dalle prime parole pubbliche pronunciate poco dopo il mezzogiorno del 7 luglio scorso, quando arrivò da Roma la notizia della sua nomina a successore di Angelo Scola come 144esimo arcivescovo di Milano: “Sento soprattutto la mia inadeguatezza. Si vede già dal nome: dopo nomi solenni come Angelo, Dionigi, Giovanni Battista, Carlo Maria, Alfredo Ildefonso… Ora voi direte: arriva Mario, che nome è?”. Ma per il resto, chi sia, cosa pensi, cosa abbia detto e fatto nel passato e soprattutto quale chiesa ambrosiana (la più grande, o certamente la più importante diocesi del mondo) abbia in mente Mario Delpini, non lo sa nessuno. Almeno al di fuori dai confini del mondo cattolico e delle parrocchie che da sempre frequenta volentieri. Così arriva tempestivo – in attesa dell’ingresso ufficiale in diocesi previsto per il prossimo 24 settembre – un libro-ritratto in forma di istant book appena dato alle stampe da Paolo Rodari, oggi vaticanista di Repubblica, per l’editore Piemme. Titolo didascalico: “Mario Delpini – La vita, le idee e le parole del nuovo arcivescovo di Milano”. Un identikit tematico e sintetico, un utile vademecum. Che Rodari fa precedere dalla riproposizione di un’ampia intervista da lui realizzata con Delpini – che come si sa era già stato scelto da Scola come suo vicario generale – al tempo della visita a Milano di Papa Francesco il 25 marzo scorso. In cui il futuro arcivescovo spiegava con la pacata semplicità di tono che gli è propria il suo “idem sentire” come diceva Bossi con la chiesa povera e “in uscita” del Papa argentino. Non è solo questione di predilezione per la povertà e di stile di vita sobrio a fondare la suggestione di una somiglianza d’approccio (“monsignor Delpini è un uomo di preghiera, che vive in modo molto ascetico e in grande povertà”, ha detto di lui Scola). E’ qualcosa di più profondo. Parlando del suo ruolo futuro, Delpini ha citato proprio Bergoglio al suo arrivo alle Case Bianche di Milano: “Io vengo come un sacerdote”, aveva detto. Ecco: prima che un organizzatore ecclesiale (lo è anche, comunque), prima che teologo e uomo di cultura (non è un teologo professionale, ma un raffinato classicista sì), prima che un organizzatore di piani pastorali e di strategie, Delpini si ritiene un sacerdote. Un prete. Un testimone della fede. Che non perde tempo a fare programmi, perché preferisce riconoscere la bellezza (anche allegra: ammonisce spesso i suoi sacerdoti e in generale i fedeli a non avere sempre il muso lungo) che è un dono di Dio. Il suo motto episcopale: “La terra è piena della sua gloria”. Basta fare attenzione.
Nato a Gallarate nel 1951, terzo di sei figli, in seminario a Venegono a 16 anni, per anni vi ha insegnato greco e patrologia. ̀E’ poi stato rettore del liceo del seminario, rettore nel quadriennio teologico e dal 2000 al 2006 rettore maggiore. Prima che Dionigi Tettamanzi lo chiamasse come vicario e vescovo ausiliare. Se ha una dote “strategica” è che conosce letteralmente nome per nome, persona per persona, i preti di tutta la diocesi. E del “rinnovamento” del clero, della sua capacità di farsi incontro, accogliere le persone – che siano fedeli o no, per Delpini non fa differenza – è sicuro che farà uno dei suoi punti di lavoro.
Qualcuno ha criticato il fatto che non abbia una spiccata personalità teologica. Ma il libro di Rodari riporta con cura le cose dette (spesso in articoli o in occasioni pubbliche) da Delpini sul cardinale Martini, su Tettamanzi, su Scola per capire che la chiesa in uscita, la capacità di dialogo, la specificità della chiesa ambrosiana sono, potremmo dire, “tutto quel che c’è da sapere” per un arcivescovo di Milano. Un arcivescovo che nel 2014, in occasione della “Professio fidei” diocesana, scrisse un testo, quasi una poesia, che si intitola: “Lasciate che io faccia l’elogio della nostra gente”, che si chiudeva così: “C’è, tra la nostra gente, anche chi non sa più che nome invocare. Ma io benedico tutti, perché tutti possano alzare lo sguardo. E sorridere un po’ di più”. Sarà da scoprire, questo vescovo umile e ironico.