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Sicurezza e insicurezza percepita. Parla la "signora delle volanti" di Milano

Paola Bulbarelli

Maria Josè Falcicchia, capo dell’ufficio Prevenzione della questura, su territorio, droga, violenze domestiche

Il titolo dice tutto: “Milano. Il blu delle Volanti”. Sono 37 scatti notturni, firmati da Massimo Gatti, racchiusi in un libro. Un libro voluto da una donna che di volanti se ne intende e che ha scoperto “quale enorme rispetto, gratitudine e ammirazione scorrano tra la mia amata Milano, i suoi abitanti e gli uomini delle Pantere della Polizia”. Maria Josè Falcicchia dal 2014 dirige alla questura di Milano l’ufficio Prevenzione generale e Soccorso pubblico: un grande contenitore che, oltre alle volanti, comprende le motociclisti, unità cinofile, cavalieri, tiratori scelti (da un paio d’anni le unità antiterrorismo), artificieri, e polizia metropolitana. In pratica, seicento persone che si occupano di sicurezza “h 24” e prendono ordini da questa donna che fin da bambina è stata coraggiosa, con piglio da capo scout. La “tenacia” è una dote che non le manca, soprattutto quando si tratta di proteggere quella che ormai considera la sua città (è a Milano dal 1996) pur tenendosi ben stretto l’orgoglio delle origini pugliesi e Oria, paese millenario più antico di Roma, in provincia di Brindisi. E’ la persona più indicata, sul finire di un’estate che ha regalato più di un brivido alla sicurezza delle nostre città, per domandare com’è la situazione di Milano.

 

Si inizia con un paradosso: “Milano è una città che in termini di sicurezza oggettiva sta assistendo a un decremento, analizzato e censito dalle denunce, di una serie di reati come furti, borseggi. Mentre il livello di sicurezza percepita apre una forbice molto larga: nonostante un trend e un bilancio positivo, spesso ci sentiamo dire ‘non sono sicuro, ho paura, vorrei più forze dell’ordine’. Le persone percepiscono una sicurezza diversa”. Occupandosi di prevenzione per Falcicchia l’obiettivo non può che essere quello di cercare di chiudere quella forbice. “Si è pensato di portare la sicurezza nelle aree metropolitane con una forte e visibile presenza, che non significa militarizzazione del territorio ma una presenza partecipata. Raccontiamo il nostro lavoro alla gente, abbiamo pattuglie che viaggiano appositamente lente, ci sono agenti in bicicletta, che le persone possono fermare in qualsiasi momento. Ci siamo riappropriati delle aree verdi, dei parchi, con il contributo dei cavalli e delle bike che pattugliano le aree pedonali”. L’altra domanda che la gente comune si fa: ma ci sono forze a sufficienza?. “La quantità non è la panacea, penso che sia utile in certi luoghi o per avvenimenti speciali, ma in altri è necessaria. Non tanto la quantità ma la qualità del personale è ciò che conta. Noi, con il concorso dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, dobbiamo seguire l’evoluzione sociale di un paese, in linea con l’Europa che richiede sempre più competenze”. Una delle vecchie-nuove emergenze è la droga, lo abbiamo raccontato su GranMilano della settimana scorsa. Qual è il vostro impegno? “C’è molta differenza tra i traffici e lo spaccio, parte finale di un reato che ha radici lontane e nasce da una richiesta modificata ma mai diminuita. Un tempo le piazze erano piene di giovani che facevano uso di eroina ed erano visibili, oggi l’uso di droghe sintetiche e cocaina è socialmente più accettato perché non traspare, non si vede. Iniziamo dal controllo del territorio: stiamo effettuando in questo periodo molti arresti. Milano è, in Italia, la città record per i sequestri perché è il crocevia dei grandi traffici”.

 

In caso di bisogno, di aiuto, protezione il numero è uno solo: il 113. Cosa significa gestire l’emergenza, oggi? “Chi telefona viene subito chiamato per nome, un modo per entrare in sintonia, se c’è bisogno una pattuglia viene subito mandata, a volte si dà anche un supporto telefonico andando al di là delle nostre competenze più tradizionali. La Polizia ha avuto una trasformazione in base ai cambiamenti della nostra società. Oggi siamo il cuscinetto dei disagi sociali: anche quando si fa uno sgombero, o un controllo alla Stazione Centrale dobbiamo mantenere quell’empatia, spesso operiamo con persone che non hanno commesso un reato, siamo operatori di sicurezza e non dobbiamo entrare nella dinamica di chi giudica, non facciamo sentenze. Una parola di conforto, spesso, è fondamentale”. I poliziotti oggi vengono formati in questa attitudine all’ascolto? “Tutto passa da una rinnovata visione della formazione che prima era concepita in modo asettico, ora è una formazione frontale e diretta in cui si tenta di dare quei rudimenti che permettano di indicare al poliziotto com’è cambiata la professione già all’atto dell’arruolamento. Sempre più spesso ci sono laureati con master, conoscono le lingue, hanno viaggiato”. Una preparazione importantissima quando un poliziotto deve trattare di maltrattamenti in famiglia e violenza sulle donne, altra emergenza dell’estate. “Quando sono arrivata all’ufficio Prevenzione generale mi sono trovata di fronte ai numeri dei maltrattamenti. E’ stata una scoperta incredibile: è una vera e propria guerra domestica, reati che nel 90 per cento dei casi riguardano fasce deboli. Con minori costretti a vivere con genitori aggressivi e violenti. E’ da Milano che è partito un tentativo di arginare questo tipo di reato con il ‘Protocollo Eva’ che ci ha permesso di affinare le tecniche per rendere efficaci le normative vigenti. Dobbiamo riuscire a fermare in tempo prima che si arrivi a un atto irreversibile, all’uccisione. Se si interviene in flagranza e non è il primo intervento, l’arresto è obbligatorio, sottraendolo così anche l’onere della denuncia. Abbiamo un database dove annotiamo tutti gli interventi per liti, lesioni, minacce, insulti”. Per prevenire, appunto. “La legge ci dà degli strumenti e li sappiamo applicare, abbiamo standardizzato la procedura: sentire le persone separatamente, ascoltare i minori, scrivendone e lasciandone traccia. Così siamo in grado di procedere all’arresto: 70 per maltrattamenti da inizio anno”.

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