Lo Studio Museo Francesco Messina a Milano. Foto Lapresse - Matteo Corner

La passione molto milanese per le case d'asta. Il caso Finarte

Paola Bulbarelli

Tirano l’arte contemporanea e gli orologi anche se trovano sempre più consensi le arti decorative del Novecento, il design, i libri antichi

I milanesi amano l’arte. Lo dicono i risultati dei primi sei mesi delle case d’asta, decisamente in crescita rispetto al 2016. “I collezionisti di Milano – afferma Michele Buonuomo, direttore di Arte – sono è tra i più consapevoli, storicamente. Sanno, conoscono, frequentano”. Sotheby’s e Christie’s sono, rispettivamente, al quarto e quinto posto della classifica con entrambe una sola asta (se la sono giocata con due Fontana uno da un milione di euro e rotti, l’altro da oltre un milione e mezzo). Mentre altre case (Meeting Art, Cambi, Il Ponte e Pandolfini) possono annoverare un notevole numero di aste con bilanci dai 14 ai 21 milioni di euro in totale. Tirano l’arte contemporanea e gli orologi anche se trovano sempre più consensi le arti decorative del Novecento, il design, i libri antichi. Milano, per l’arte, è la piazza più attiva d’Italia. Le prime aste ripartono già a settembre.

  

Colossi stranieri irraggiungibili, chi sta però recuperando la scena è Finarte, storica casa d’aste milanese, fondata nel 1959 e innovativa leader italiana per decenni, prima del fallimento nel 2011, e che ora sta tornando alla ribalta (in calendario 21 novembre gioielli e orologi, 27 arte contemporanea, 28 fotografia). Si cerca di tornare agli antichi successi. Casimiro Porro, storico presidente della casa d’aste di piazzetta Bossi, diceva che “quella” Finarte, non ci sarebbe stata mai più. “Non si possono paragonare quei tempi a oggi – spiega Rosario Bifulco, attuale presidente – Allora Finarte era da sola, non c’erano le case d’asta straniere, i concorrenti erano piccoli artigiani”. Oggi, guardando l’elenco, Finarte riparte dal basso, più grandi ce ne sono venti. Ma il bello è che si guarda a una nuova vita per quella che era considerata una delle principali case d’asta italiane, con una storia finita nel 2012 con la dichiarazione di fallimento del Tribunale di Milano. La liquidazione coatta era stata ordinata a luglio 2011, obbligando alla cessione integrale dei beni ai creditori per tentare di porre rimedio al debito di 11 milioni di euro maturato dalla società guidata allora da Corbelli. Ora riparte l’avventura. “Il mercato si è allargato e ci sono nuovi player a livello sia locale sia internazionale, il quadro è senza dubbio più competitivo. Ma c’è anche la possibilità di giocarsi il ruolo di leadership nel nostro paese e la sfida è guadagnarsi una presenza che vada oltre i confini italiani”.

  

Partendo da questi presupposti, un gruppo di imprenditori ha deciso per il rilancio del marchio. “Siamo otto azionisti, che a differenza delle altre case d’asta non sono operatori o imprenditori del settore ma investitori, veri appassionati d’arte. E lo spirito è quello di essere ‘public’, non concentrati su piccoli imprenditori. Perciò la Borsa è uno sbocco naturale per avere risorse per potersi sviluppare ulteriormente”. Le quote vanno dall’8 al 15 per cento. Gli otto ci credono davvero e vanno avanti spediti. Giampaolo Cagnin, imprenditore dell’alimentare, Francesco Mutti della nota casa di pelati e derivati, Mauro Del Rio della Buongiorno spa, azienda quotata, Diego Piacentini (cui Renzi aveva affidato il tema del digitale) ex di Amazon, Giovanni Sarti, noto antiquario di origini italiane che lavora tra Parigi e Londra, Giancarlo Meschi, country manager di Apple, promotore e ideatore iniziale di questa cordata, Rolando Polli capo di McKinsey in Italia e lo stesso Rosario Bifulco, ad di Mittel e, come lui si definisce, “collezionista bulimico”, tra i maggiori per arte africana contemporanea. Passo molto importante, l’acquisizione di Minerva Auctions, casa d’aste romana. “Minerva testimonia le piccole realtà legate a singoli imprenditori che per motivi di eredità o cambio generazionale potrebbero vendere, e noi saremo pronti a cogliere tutte le opportunità”. Difatti, grazie a Minerva, specializzata in libri e pezzi antichi, Finarte, oltre ad avere due sedi, Milano e Roma, avrà modo di allargare gli orizzonti per ora concentrati su arte contemporanea e fotografia. Ottimisti? “Abbiamo le risorse per crescere sia per vie interne che esterne. Siamo anche nell’online, che si sta sviluppando moltissimo e dovrebbe diventare un braccio per accedere ai mercati internazionali”. Obiettivo, accaparrarsi una fetta di mercato e, in due anni, in Borsa. Importante chiudere l’anno a 10 milioni di aggiudicato e puntare al raddoppio l’anno prossimo. Ma non finisce lì. L’ipotesi nuova sede si fa sempre più concreta. Serve un luogo ideale, una palazzina che parli solo Finarte. “Ci stiamo guardando intorno. Obiettivo è avere spazi adeguati per il magazzino, le sale espositive, la sala d’asta. Ma non solo. Deve diventare un polo culturale”.

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