Atm, Fs e gli altri. Il futuro non solo locale del trasporto locale
Come pensare a uno sviluppo sostenibile ed economicamente solido. Piccolo dossier (con qualche idea per Atac)
Le idee non sono né di destra né di sinistra. Solo idee buone e cattive. Sul trasporto pubblico locale, ad esempio, serve realismo per valutare senza ideologismi le opzioni in campo. Non è un caso che, secondo fonti del Foglio, l’idea di una fusione – o collaborazione stretta, o integrazione finanziaria: insomma unione) – tra Atm e Trenord abbia ripreso a circolare. Con un appeal apprezzabile, anche se sono anni che se ne parla e nonostante alcune preoccupazioni e veti politici. Anche se c’è chi ricorda la distanza abissale tra le due aziende: “Purtroppo la condizione di efficienza dei due soggetti sono molto differenti. Atm rappresenta un modello funzionante apprezzato da chi utilizza il servizio, il contrario di Trenord ben al di sotto delle aspettative di chi ha necessità di muoversi in Lombardia. Vi sono ritardi negli investimenti del materiale rotabile imputabili all’amministrazione regionale che investono la qualità del servizio di trasporto”, spiega, molto severo Luca Stanzione, segretario milanese della Filt Cgil. Anche se c’è da dire che ben presto arriveranno i nuovi treni, per uno stanziamento di oltre un miliardo e mezzo di euro, che dovrebbero rendere Trenord molto più competitiva.
Ma l’unione di Atm e Trenord fa accomodare al tavolo anche Ferrovie dello stato, che di Trenord è socia paritaria con Fnm e dunque con la Regione Lombardia. In più, Fs ha acquisito una partecipazione strategica in M5. La logica che filtra dagli uomini di Renato Mazzoncini, ad di Fs, è semplice: “Abbiamo la competenza su ferro in superficie, vogliamo averla anche sotto terra”. Quello di Fs è stato nei mesi scorsi avvertito come un interessamento ostile, in buona misura per i timori di Bruno Rota, ex presidente di Atm, prima della toccata e fuga all’Atac di Roma grillina. Ma oggi i favorevoli all’ingresso delle Fs by Mazzoncini nel trasporto pubblico milanese sembrano in grado di prevalere. Perché lo sviluppo della mobilità è la chiave del consolidamento e della crescita di una città metropolitana come Milano, in un contesto macro regionale e internazionale.
Come ha scritto Dario Di Vico sul Corriere, “c’è un’Italia in movimento” e “l’economia moderna del nostro paese è flusso di persone e di merci”. E allora la mobilità deve cambiare. “Uno dei presupposti essenziali è lo sviluppo di una rete ferroviaria in grado di sostenere i grandi flussi da tutta la città metropolitana e dalla regione, recapitandoli nelle principali destinazioni milanesi. Purtroppo Milano, con le amministrazioni più recenti, ha abbandonato questo disegno. Infatti nel Piano urbano della mobilità era già stato pianificato, con un accordo finanziario con le Fs, un secondo passante ferroviario in grado di garantire gli spostamenti quotidiani di decine di migliaia di persone”. A pensarla così è Giorgio Goggi, già assessore alla Mobilità delle giunte Albertini e collaboratore di Carlo Tognoli ministro per le Aree urbane. “Milano invece ha fatto scelte in controtendenza, puntando sulla mera limitazione del traffico con Area C e la congestion charge. Intanto Londra, che per prima aveva sperimentato la tassa d’ingresso, ha registrato il fallimento dell’esperimento, con un traffico automobilistico tornato a essere quello di sempre. Cambiando strategia Londra ha puntato ora a un sistema ferroviario forte di livello regionale. Tanto è vero che ne sta realizzando uno nuovo, il Crossrail, linea ferroviaria rapida, lunga 136 chilometri con una galleria per attraversare il centro della città di 21 chilometri”, spiega Goggi.
Ma in concreto che cosa potrebbe portare Ferrovie dello stato non tanto alla disastrata Roma – l’idea di assorbire Atac in Fs è stata avanzata da più parti, recentemente anche da Chicco Testa sul Corriere: ma si tratterebbe in quel caso di un salvataggio in extremis, non di un progetto di sviluppo – ma alla efficiente e migliorabile Milano? Fs sarebbe un virus o un fattore di efficienza? Iniziamo dalla fotografia: ad oggi per l’Urban Mobility Index Milano si piazza al primo posto in Italia, con il voto di 8,07, massimo indice di dinamicità ma medio indice di cambiamento della domanda. Roma, per capirsi, è settima con voto 5,60, a un soffio da Napoli (5,06) e Bari (5,04). A Milano i tempi di attesa delle coincidenze si attestano tra 11 e 12 minuti, in linea con i best case analizzati, a Roma raggiungono i 20 minuti. E ancora: a Roma il 39% degli utilizzatori attende oltre 20 minuti l’arrivo del proprio mezzo, mentre a Milano tale percentuale si attesta al 12%, in linea con Parigi (13%), Madrid (14%) e Berlino (10%) e meglio di Londra (18%).
Che cosa significherebbe l’entrata di Fs a Milano? Valori tutti da verificare e quantomeno ottimistici, ma il gruppo di Mazzoncini ipotizza che il risparmio per la maggiore efficienza si potrebbe attestare da un minimo di 821,6 milioni di euro a un massimo di 1.056 milioni di euro calcolati sul valore del tempo risparmiato. Il valore del tempo risparmiato ogni anno per effetto del decongestionamento delle arterie urbane stradali generato da un maggiore utilizzo dei mezzi collettivi, anche qui in ipotesi, sarebbe di un minimo di 391 milioni di euro a un massimo di 503 milioni di euro. Fs pensa che per evolversi “il sistema della mobilità urbana italiano deve fondarsi su tre pilastri: creare un solido sistema di infrastrutture di trasporto urbano su sede fissa con una forte integrazione modale correlata a un’efficace pianificazione urbanistica; sviluppare un modello di gestione del servizio collettivo che sia sostenibile a livello ambientale ed efficiente in termini economici; aumentare gli investimenti in innovazione tecnologica”.
Se si vuole iniziare un ragionamento su Milano, bisogna partire da qui. Il problema è che la politica per decidere non deve essere “frammentata”, mentre oggi sulle politiche di trasporto le Città metropolitane rimangono enti di secondo livello. In pratica, sui trasporti di Milano decide Milano. Ma su quelli dell’hinterland decide la Città metropolitana e sui treni, pure quelli che entrano a Milano, la maggioranza di Fnm ce l’hanno Regione e Fs. Certo non è tutto oro quel che luccica, e ci sono voci intelligenti e critiche. “Occorrono forti politiche d’investimento per sviluppare la mobilità pubblica in un’area vasta come quella della città metropolitana, e occorre essere consapevoli del fatto che la mobilità è un asset cruciale”, spiega Massimo Bonini, segretario della Cgil milanese. “La carenza di sistema nell’hinterland milanese – salvo alcune linee del metrò – è sotto gli occhi di tutti. E opere come il passante ferroviario – qualcuno parla addirittura di un secondo – sono necessarie”. “
“Il modello mobilità per Milano potrebbe non far perdere un’occasione all’intero paese”, spiega Stanzione. “Ma c’è la necessità di sfilare la politica della mobilità dalla contingenza e pensare ad un progetto a lungo termine, al di fuori di qualsiasi speculazione politicista e da alcune resistenze conservatrici”. Il timore, per farla breve, sotto la Madonnina, è che le cose che adesso vanno bene rispetto al disastro di Atac, finiscano tutte nelle capaci mani (o mani capaci?) di Fs levando il timone a chi ha saputo gestire bene. “Non è pensabile che una realtà solida e di vasta esperienza come Atm venga sostituita completamente, nel trasporto pubblico locale, da un grande gruppo come Fs”, dice Danilo Galvagni, segretario metropolitano della Cisl. “Se la collaborazione con le Ferrovie italiane è necessaria, perché la partita del trasporto pubblico si vince potenziando le infrastrutture, è altrettanto necessario che Atm tenga tra le sue mani la barra della gestione. Di certo lo sviluppo della grande Milano passa dalla messa a punto del piano della mobilità: più infrastrutture, il giusto mix e meno ideologia. E su questa linea il gruppo Fs può sicuramente fare la sua parte”, conclude il leader Cisl.
E dunque sarà necessario scegliere un percorso per dare al trasporto pubblico uno o più gestori (vecchi o nuovi) con la necessaria solidità. “D’altra parte potenziare la rete nell’intera area metropolitana richiede forti investimenti in mezzi e gestione che, con le attuali carenza finanziarie, possono essere recuperati solo migliorando la produttività del servizio con aziende efficienti in concorrenza fra di loro. E qui entra in gioco la modalità di messa in gara del servizio. A Milano serve una gara vera a lotti, che metta in concorrenza i gestori e non consenta la creazione di monopoli, per aver il miglior servizio al miglior costo possibile”, conclude Goggi. “Noi – sostiene invece Massimo Bonini – non siamo appassionati alla gara tra operatori ma va detto che Atm ha bisogno di forti investimenti e va riconosciuto al gruppo FS la capacità di investire nelle infrastrutture. Perché la chiave, sono proprio gli investimenti”. Ora la palla passa nel campo del sindaco Sala e la partita non sarà delle più facili.