L'autonomia lombarda? Un'idea anni 80 inadatta al futuro

Daniela Mainini*

Verso il referendum voluto da Maroni. Un’opinione critica: il regionalismo differenziato è rinuncia al nostro ruolo guida

E’noto che gli inviti ad “andare al mare” in prossimità ai referendum, ancorché si voti sul nulla, non portino molta fortuna a chi li fa. Quindi vorrei limitarmi a dimostrare come solo l’idea di una “Lombardia fai da te” che ha come obiettivo dichiarato il “livello di autonomia del Friuli-Venezia Giulia” sia idea vecchia e superata da fine anni ’90 quando all’indomani della caduta del Muro di Berlino si teorizzò la “fine della storia”. Era in quel contesto che nasceva e si sviluppava l’idea dell’Europa delle regioni, con la prospettiva del progressivo ridimensionamento degli stati nazionali mentre si realizzava l’indiscriminato allargamento dell’Unione europea ipotizzando appunto un mondo pacifico e con sicura crescita economica senza problemi di reperimento delle risorse. Piaccia o meno, in un contesto di globalizzazione contrastata (rectius bombardata) quale quello attuale, dove crescono contrasti economici e terrorismo islamico, non può che essere il primato degli stati a prevalere e non certo l’Europa delle regioni.

 

Che da parte di Maroni si tratti di mera operazione elettorale è fin troppo evidente: lo stesso aveva indetto la consultazione referendaria più di due anni fa rinviandola alla data che più gli facesse comodo senza parlare di contenuti e non esitando oggi a spendere cinquanta milioni di euro dei cittadini lombardi per un referendum inutile. L’obiettivo dichiarato da parte di Maroni sulla base della vittoria del Sì – e che sarà al centro della campagna per il nuovo Consiglio regionale – è quello di “uno statuto speciale a Lombardia e Veneto” che sanzioni “autonomia politica, amministrativa, fiscale” che in concreto – come è stato chiarito in questi giorni da parte della presidenza della regione – significa il poter esercitare sulla base di un residuo fiscale di 56 miliardi di euro “competenza esclusiva della giustizia di pace, della tutela ambientale e della tutela della cultura e della gestione dell’istruzione, oltre ad altre competenze concorrenti come i rapporti internazionali, il commercio estero, la tutela della sicurezza sul lavoro, la protezione civile, la tutela della salute, il governo del territorio”. Si tratta di una deriva da contrastare non solo per il numero e i titoli di delega; praticare il regionalismo di questo tipo significa la sicura retrocessione dell’Italia in campo europeo. Con questo “regionalismo differenziato” abbiamo uno stato senza spina dorsale, un’Italia incapace di decidere, in balìa di frantumazione e diritti di veto. Tale “regionalismo differenziato” è un chiaro ostacolo alla modernizzazione e alla competitività dell’Italia in campo internazionale e in particolare in Europa.

 

Lo “statuto speciale” posto come modello – dei friulani, dei trentini e dei valdostani – non è e non può essere il nostro orizzonte e traguardo. La Grande Milano e la Lombardia non sono un’etnia di frontiera, una minoranza linguistica con radici: sono la locomotiva economica, sociale e culturale del paese.

 

Sin dal referendum va quindi contestata l’impostazione leghista in modo chiaro in quanto sostiene una prospettiva legata a tesi ormai superate tracciando un ruolo anacronistico della Lombardia in termini di separatezza e non di ruolo guida nazionale. L’Europa delle regioni di Maroni è ferma all'idea dei “Quattro motori d’Europa” di fine anni 80, dell’alleanza della Lombardia con Rodano, Catalogna e Baden. Oggi Milano deve avere come interlocutori non più Lione, Barcellona e Stoccarda, ma Parigi, Madrid e Berlino. Quanto agli altri Sì, i cd “Sì diversi” di buona parte del Pd e dei Cinque stelle, poggiano sull’evidente volontà di svuotare politicamente la probabile vittoria del Sì, ma quanto ai primi per le materie indicate di ambiente e ricerca scientifica, in contraddizione con quanto sostenuto al referendum costituzionale del 4 Dicembre, dovrebbe rispondersi che l’obiettivo oggi sarebbe semmai quello di dar vita ad una Agenzia nazionale (dopo la Svizzera anche la Grecia ha costituito l’Agenzia ricevendo 180 milioni di euro dalla Bce). Quanto ai pentastellati, la loro impostazione rispecchia rinuncia e incapacità di contestare l’impostazione leghista.

 

Insistere nel proporre formule e soluzioni da inizio anni ’90, epoca di disarmo, in epoca di pieno riarmo europeo e mondiale appare superato oltreché suicida. Meglio nuotare in altre acque, anche in una domenica d’autunno.

 

* Daniela Mainini, Presidente Centro studi Grande Milano

(Primo di una serie di interventi dedicati al referendum consultivo per l’autonomia della Lombardia del 22 ottobre)

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