Storia del reddito Nord-Sud: perché non serve il modello Catalogna
Equivoci su Regioni che “danno” e che “prendono”. Cattiva amministrazione e cattiva spesa. Il federalismo
Il paese a forma di stivale è stato il più ricco del mondo, se si prendono le misure su duemila anni. Per 1.700 anni su 2.000 – quindi per l’ottanta per cento del tempo – il suo reddito per abitante è stato maggiore di quello degli altri paesi. La maggiore ricchezza italiana è durata fino al XVIII secolo. Poi la rivoluzione industriale ha arricchito gli altri ma l’Italia, partita molto dopo, è riuscita dopo qualche tempo a recuperare una parte del divario. Ultimamente, dopo molti anni di crescita modesta e con l’aspettativa che sarà ancora modesta, ha preso corpo l’idea che, mentre prima si poteva dividere una torta che cresceva, adesso si deve dividere una torta che avrà all’incirca la stessa dimensione. Secondo molti la divisione della torta avviene in maniera iniqua e a danno della parte settentrionale dello Stivale. Da qui l’idea che la forma dell’unità politica del paese vada ridiscussa. Essa andrebbe “regionalizzata”, ossia le sue numerose parti dovrebbero gestire autonomamente una fetta più o meno grande delle risorse che producono.
Il reddito per abitante del Meridione è circa la metà di quello delle altre parti del paese. Questo divario si è formato dal 1880 al 1950. Dal secondo dopoguerra si è alternativamente chiuso e riaperto, ma è rimasto intorno alla metà. Il divario cospicuo e persistente del reddito per abitante è il primo aspetto della vicenda Meridionale. L’andamento della spesa pubblica è il secondo: in Meridione si ha uno spreco della spesa legato al maggior costo dei servizi in rapporto alla loro qualità. La maggior diffusione dell’evasione fiscale è il terzo aspetto. In termini assoluti, l’evasione italiana è intorno a un quinto del reddito nazionale, ma è molto diversa a seconda delle regioni: per esempio, è modesta in Lombardia (dove molti protestano e pochi evadono) ed elevata in Calabria (dove pochi protestano e molti evadono). Dai conti – di Luca Ricolfi, “Il sacco del Nord” – viene fuori che nel caso di totale assenza di solidarietà – ossia ognuno vive solo del reddito che produce – le regioni meridionali riceverebbero dallo stato centrale 80 miliardi l’anno in meno; nel caso di piena solidarietà – ogni cittadino riceve i servizi dallo stato quanto la media nazionale – alle regioni meridionali andrebbero 40 miliardi all’anno in meno. Ne deriva che il Centro-nord, ma soprattutto il Nord, avrebbe dagli 80 ai 40 miliardi di euro in più. Se si fa un’analisi per regione singola, allora non tutte le regioni del Nord sono “donatrici nette” e non tutte quelle del Sud “prenditrici nette”. Lo spreco, alla fine, si concentra in Campania, Calabria, e Sicilia. Sarà una coincidenza, ma sono le regioni con una forte componente malavitosa. Perché mai un’opzione politica così logica e così nell’interesse di tutti, come la seconda, quella della piena solidarietà nell’efficienza – un’opzione peraltro compatibile col “federalismo” e non con la “secessione – non prende il sopravvento? Non decollando l’economia meridionale, resta per alzare il suo tenore di vita solo l’uso di risorse pubbliche. Le risorse pubbliche sono spese anche per occupare persone. Le quali persone votano per chi si occupa di trovare le risorse pubbliche. La Campania e la Sicilia sono molto popolose, e perciò eleggono un gran numero di deputati e senatori. Nessuno in Italia può di conseguenza vincere le elezioni senza il loro voto. Il loro potere di interdizione è all’origine della distorsione nell’uso delle risorse pubbliche. Abbiamo alla fine un equilibrio economico povero in Meridione nonostante le sue regioni vivano “al di sopra dei propri mezzi” e un equilibrio politico che sta diventando più costoso da ottenere da quelli che nel Nord “vivono al di sotto dei propri mezzi”.
Che cosa sarebbe accaduto se l’Unità d’Italia non ci fosse mai stata? I meridionali emigrati all’estero – per effetto del sottosviluppo del Sud – hanno contribuito agli inizi del Novecento a finanziare con le loro rimesse gli acquisti di beni capitali necessari al decollo industriale del Nord. I meridionali emigrati all’interno a metà del Novecento sono stati la manodopera delle imprese industriali del Nord. In Meridione sempre a metà del Novecento si è avuto un voto conservatore che ha frenato la sinistra quando era illiberale. Anche tralasciando queste vicende, resta il quesito relativo alla scelta “secessionista”, semmai si manifestasse. O meglio, se partito con il “federalismo”, il processo politico scappasse di mano per approdare al “secessionismo”. Senza il Meridione l’Italia ridotta al solo Nord finirebbe per far parte del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica. Sarebbe senz’altro un paese ricco, ma non più ricco degli altri del centro Europa, e avrebbe un peso politico nullo. Sarebbe solo una macro-regione non rappresentata da uno stato nazione all’interno dell’Unione. Quanto costa tenersi lo stato nazione? L’assenza di solidarietà genera 80 miliardi a favore delle regioni donatrici, la solidarietà totale 40. Facciamo la media fra 80 e 40, ossia 60. Poiché gli italiani che non vivono in Meridione sono 40 milioni, si hanno mille e cinquecento euro a testa di minor reddito per “tenersi” il Meridione, ma per essere uno stato nazione.