Lavoro rosa
Molte donne in ruoli apicali, ma in generale più lavoro e migliore che altrove. Una ricerca, i pareri
Milano, fino a poco tempo fa, vantava un parterre di donne che vestivano alla grande i panni della vera autorità. Letizia Moratti, sindaco. Livia Pomodoro, presidente del Tribunale. Diana Bracco, presidente di Assolombarda. Tre figure di spicco che non hanno mai attaccato il potere al chiodo. Oggi Moratti è presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca; Pomodoro è presidente dell’Accademia di Brera e alla testa di un nuovo centro per le policy alimentari e nell’Advisory Board di BCFN; Diana Bracco, amministratore delegato del gruppo Bracco (l’omonima Fondazione vanta il progetto “100 donne contro gli stereotipi”, piattaforma online che raccoglie 100 nomi di esperte a partire dall’area STEM – Science, Technology, Engineering and Mathematics – settori storicamente chiusi alle donne) è la rappresentante unica del mondo delle imprese nella cabina di regia istituzionale per la candidatura di Milano all’Ema. Insomma, le signore non si girano certo i pollici ma da al colpo d’occhio sembra che dopo di loro ci sia il vuoto. È un caso? “Credo sia stata una combinazione astrale favorevole”, dice Donatella Sciuto, prorettore vicario del Politecnico, “tutte donne di una certa fascia d’età che si erano costruite un percorso di carriera tra le poche in quel momento. Abbiamo avuto una candidata donna come sindaco nel centrosinistra che si è battuta contro Sala, c’è quindi la voglia di ricoprire certi ruoli. Personalmente mi interessa avere più donne in ruoli importanti che averne tre molto rappresentative ma con il nulla dietro”.
Ma il nulla non c’è. A Milano ruoli apicali sono stati e sono ricoperti da donne. Gabriella Tona è la prima donna e prima laica rettore dell’istituto Leone XIII, il liceo d’eccellenza dei gesuiti in città. Cristina Messa, professore ordinario di Diagnostica per immagini, è rettore dell’Università di Milano-Bicocca. Barbara Stefanelli è vicedirettore vicario del Corriere della Sera. Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia, Cinzia Farisè ad di Trenord. In generale, la Lombardia si presenta con un tasso di occupazione femminile del 57,2% contro una media nazionale ferma al 48%. Milano è la prima città italiana per l’occupazione femminile con il 65% delle donne residenti in città – tra i 20 e i 64 anni – una percentuale che colloca il capoluogo lombardo ai livelli delle grandi capitali del nord Europa. “Ci sono molte più posizioni di alto livello rispetto a un tempo”, spiega Marilisa D’Amico, ordinario di Diritto costituzionale alla Statale, “basti pensare che il presidente della Corte d’Appello di Milano è donna, Marina Tavassi, anche se aumentando il numero delle donne di livello non è aumentata l’offerta politica né a livello di città che del paese”.
In compenso le lavoratrici milanesi esercitano professioni mediamente più qualificate rispetto a quelle che lavorano a Roma o in altre città, nonostante la presenza nella capitale di un alto numero di funzionari e di dirigenti della Pubblica amministrazione. Questo il quadro tracciato dal rapporto “A Milano il lavoro è donna. Il mercato del lavoro milanese in un’ottica di genere”, curato da Roberto Cicciomessere, Lorenza Zanuso, Anna Maria Ponzellini e Antonella Marsala per Italia Lavoro spa. “La distinzione non è tra Milano e il resto d’Italia”, dice Arianna Tavano, vice chairman of Corporate Banking a Citigroup, “perché, a mio avviso, non ci sono molte differenze. Con la storia delle quote rosa sulle società partecipate dallo stato si è visto qualcosa di più a livello centrale. Non è solo una questione di essere donna o uomo, un altro elemento fondamentale che è l’età. Purtroppo, ciò che vedo intorno a me, è una società, almeno nella comunità economico-finanziaria, dominata da uomini e con i capelli bianchi. E per le donne che non hanno i capelli bianchi è molto difficile emergere”.
La ricerca di Italia Lavoro spa, condotta su oltre 421 mila donne, ha permesso di delineare tre profili fondamentali di lavoratrici milanesi: professionals (laureate con lavori altamente qualificati ma inquadrate per metà come impiegate), unskilled (licenza media, svolgono mestieri spesso part time) e diplomate (professioni mediamente e altamente qualificate come insegnanti, contabili, tecnici della salute ecc). E’ in Lombardia il maggior numero di manager donna, il divario di genere nelle aree disciplinari tecniche e scientifiche si sta riducendo e il digital divide tra donne e uomini si è completamente annullato tra le nuove generazioni”.
“In dati assoluti direi che è così”, spiega Sandra Mori, presidente di Valore D e general counsel di Coca-Cola, “ma in Lombardia ci sono molte più aziende Poi, se si va a vedere il dato statistico, non è che le aziende lombarde abbiano al loro interno più donne di quelle laziali o toscane. In Italia il problema della rappresentanza femminile ai vertici è più evidente e sono ancora una minoranza rispetto alla popolazione. In compenso è aumentata in maniera significativa la rappresentatività delle donne nei board aziendali. Le donne stesse possono fare scelte che le facilitino, scommettendo sulla propria carriera e scegliendo aziende già più aperte alla diversità e non rinunciando alla maternità”.