Per che cosa votare al referendum sull'Autonomia
Due considerazioni, critiche e bipartisan, sul voto di domenica. Ciò che serve a Milano e all’Italia
In queste settimane GranMilano ha ospitato opinioni divergenti e sempre interessanti in vista del referendum sull’Autonomia promosso dal Consiglio regionale lombardo, in base a quanto previsto dal Titolo V della Costituzione. E’ la prima volta che lo strumento viene usato ed è un bene farlo, detto in generale. Non abbiamo né prendiamo posizione, crediamo non serva, non siamo la Catalogna: che una maggiore autonomia sia un bene necessario a queste latitudini lo sanno tutti, indipendentemente dal colore politico. Sui metodi e sul resto, si può discutere. Due cose, bipartisan, vale però la pena di sottolineare. Da un lato, la campagna al ribasso che una parte della sinistra, Pd compreso, ha scelto di svolgere contro il referendum, al grido di “si buttano i soldi dei cittadini”, pecca di sciatteria ed è una perniciosa rincorsa ai peggiori temi del populismo anti-politico: votare costa (nemmeno troppo), ma non sono mai soldi buttati. Dal punto di vista dei promotori ideali, in primis la Lega di Roberto Maroni, da sempre convinto federalista, il rischio politico che ci si assume è evidente. Una bassa affluenza significherebbe una grave ammaccatura d’immagine per le idee (intese in generale) del federalismo, dell’autonomismo o del “neo-regionalismo”, termine di recente proposto dal Governatore. E questo in un momento in cui, in una fase di rilancio economico che gravita attorno a una metropoli che punta a un ruolo anche internazionale, la necessità di avere meno lacciuoli, più rapidità decisionale e più responsabilità nella gestione delle riforme è essenziale. La partita di Ema, comunque vada, lo ha chiarito per tutti. Il voto degli elettori sarà solo indicativo. L’indicazione alla politica, comunque vada, è già nei fatti.