L'elaborazione del lutto Ema e Milano che deve ripartire
I grandi progetti di legislatura, urbanistica e altro. L’immagine (un po’ appannata). Appunti per Sala, la sinistra e tutti
L’’elaborazione del lutto per aver perduto al bussolotto l’assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco sarà rapida a Milano, città della resilienza al pessimismo. Ma il processo non sarà ovunque identico, varierà per l’economia, per la politica e per i politici, e soprattutto richiederà molto presto un rilancio di progettualità. Quanto all’immagine internazionale, che pure conta, non ne risentirà particolarmente. Quanto all’economia reale, la verità è che il fatturato di Milano rimane identico, senza danni. Ma è pur vero che sono stati smarriti due miliardi di fatturato aggiuntivi, tra diretti e indotto, e il di più che il volano di innovazione e ricerca avrebbe attirato. Quanto alla progettualità in ambito scientifico, biomedico e tecnologico, le cose da fare ci sono. Ieri il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi in un’intervista ottimista a Repubblica rilanciava soprattutto sullo Human Technopole, poi ci sono i grandi progetti in corso nel settore della Salute, pubblico e privato, e un comparto chimico e “big pharma” che non subirà arretramenti.
Cioè che invece più conta, e qui si passa alla politica e alla governance, sarà ritrovare lo slancio e gli obiettivi progettuali, tenendo conto che l’effetto “fine del momento magico di Expo” – la sensazione che tutto si può fare, si sta facendo e viene pure bene – sarà in qualche modo obbligato.
C’è un aspetto che riguarda Palazzo Marino e dintorni. La giunta di Beppe Sala si avvia verso i due anni di vita. Tra i grandi progetti di legislatura c’era, seppure indipendente dall’amministrazione, il ritorno di immagine e di ruolo globale che sarebbe potuto arrivare con Ema. Negli ultimi mesi, l’impegno su questo fronte e l’aspettativa psicologica ha messo un po’ in ombra gli altri grandi obiettivi. Che ora però ridiventano decisivi per il bilancio della sindacatura. Il piano periferie, ancora troppo allo stato di gestazione; la rivoluzione urbana degli scali ferroviari, il trasferimento di Città Studi all’area ex Expo – i due progetti urbanistici monstre cui, a questo punto, dovrà essere affidata la legacy della giunta Sala, se vuole andare oltre le politiche sociali e sull’immigrazione, che farebbero però molto “giunta Pisapia”. Infine il potenziamento del distretto finanziario post Brexit, sempre annunciato e su cui c’è molto da fare. Elaborato il lutto, Beppe Sala deve riprendere in mano con vigore il suo programma. Nel secondo e terzo anno, le difficoltà vere usciranno e anche la necessità di negoziazione sulle scelte concrete.
Che non sia solo un problema di politica locale, è facile intuire. Matteo Renzi da Vespa ha detto che vorrebbe sfidare Berlusconi nel collegio 1 di Milano. Ma per farlo (se mai lo facesse) ha bisogno di temi forti, che non possono più essere né l’Expo né le settimane della moda o del design, né la solita piazza Gae Aulenti. E nemmeno solo il patto per la sicurezza siglato proprio a Milano, ma da Marco Minniti, ministro di Paolo Gentiloni. Renzi sì o Renzi no, Milano rimane oggi l’unica grande Amministrazione della sinistra che ha vinto, nemmeno due anni fa, su un progetto di riformismo e di apertura all’investimento economico e nello stesso tempo all’innovazione sociale, il famoso “Modello Milano”. E’ il miglior patrimonio politico che il Pd, o la sinistra come si chiamerà, avrà da spendere alle prossime elezioni. Disperderlo o annacquarlo, non sarebbe un danno soltanto per Beppe Sala e per Milano.
Quanto alla politica dei politici, due notarelle. Roberto Maroni, il presidente di Lombardia che si è speso in modo saggiamente bipartisan per Ema, al punto da mettere a disposizione il Pirellone (tra i mugugni soffocati dei consiglieri regionali) non avrà dalla sconfitta un danno elettorale. Politicamente parlando per Maroni Ema sarebbe stata la ciliegina su una torta che comunque esiste, la sua vera sfida di credibilità è semmai la trattativa che ha appena avviato sulle autonomie con il governo. Il suo avversario Giorgio Gori ha scelto intelligentemente di presentare la sua candidatura in un tempio del riformismo milanese, tra gli altri con Piero Bassetti: il teatro della Verdi di Cervetti e dell’ex Corbani, con tutta la sua carica evocativa. Una scelta significativa, che dice quanto abbia bisogno, lui e il Pd, di ridare fiato a questo riformismo, e alla progettualità di una grande Milano dentro una grande Lombardia. E non è solo un problema di rilanciare la narrazione.