Il gran discorso per Sant'Ambrogio di Mario Delpini
Parole impegnative, per tutti. Un testo pieno di intuizioni e aperture. Senza irriverenza, e senza tirarlo per la veste, lo si può definire un discorso “politico”
E così, proprio quelli che poco prima, fra grandi disordini, erano fra di loro in dissidio (infatti sia gli ariani, sia i cattolici bramavano che fosse ordinato vescovo uno della loro parte, cercando di avere la meglio sugli avversari), improvvisamente, con una concordia mirabile e incredibile trovarono consenso su di lui”. Mario del pini, da pochi mesi arcivescovo (la berretta di cardinale ancora non ce l’ha) di Milano, ha iniziato così, partendo da una citazione della “Vita di Sant’Ambrogio” di Paolino da Milano, il suo primo “discorso alla città”, la sera della vigilia nella basilica romanica dedicata al santo vescovo. E’ un discorso importante, e ne pubblichiamo la parte iniziale oggi in una pagina del Foglio (il testo completo sarà disponibile nelle librerie a cura del Centro ambrosiano). Il discorso dell’arcivescovo alla città in occasione di Sant’Ambrogio è da sempre un appuntamento importante, e non soltanto sotto il profilo ecclesiale, ma anche per la società civile, e spesso anche per la politica milanese. Perché è fatto sul solco di Aurelio Ambrogio, che prima di prendere, che era nato a Treviri, e che prima di prendere la guida della chiesa di Milano era stato un funzionario imperiale, un uomo d’azione e di politica. E che continuò a svolgere la funzione di “ capo” politico – in un periodo assai turbolento – quando a furor di popolo, come narrano le cronache, venne scelto come vescovo.
Chi si aspettava da Mario Delpini, il “vescovo in bicicletta”, l’uomo mite, dal profilo costantemente umile, il prete ambrosiano che ha insegnato tutta la vita nel seminario di Venegono, il pastore, un discorso sbrigativo, di basso profilo, tutto sorrisi e buone intenzioni, ha avuto modo, ieri sera, di rimanere stupito. Piacevolmente. Delpini ha fatto un discorso impegnativo, per tutti. E pieno di intuizioni e aperture. Senza irriverenza, e senza tirarlo per la veste, lo si può definire un discorso “politico”. Perché è partito dall’elogio dell’“esemplare funzionario imperiale”. Che “dentro la tensione, dentro lo scontro che esaspera la città, dentro i conflitti di fazioni contrapposte, dentro la rivendicazione di privilegi e di potere, dentro la contrapposizione tra gruppi che pure hanno analoga radice religiosa”, ha saputo con la sua abilità, convincere i milanesi alla ragionevolezza, a zittire gli estremisti, a imporre le regole di “un buon vicinato”. Un discorso che poi si dilunga, nello stile anaforico che a Delpini piace assai, nell’elencare le virtù e gli impegni che i cristiani di Milano e la chiesa si devono assumere, per il bene comune. Ma che inizia con un puntuale elenco ed elogio di tutte le componenti, laiche e istituzionali, di una città complessa: i compiti e i meriti di ognuno. La responsabilità di un fare “ambrosiano” (appunto) che è un modello e un invito alla pacatezza, a un buon riformismo. Per il bene del popolo, non del populismo.