Seconda vita a destra, il ritorno di sant'Ignazio La Russa
Tra politiche e regionali, FdI ha (ri)trovato il luogotenente che conosce territorio e truppe
Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?, cantava Lucio Battisti, uno che passava per essere di destra (fake news?). E Giorgio Almirante, che invece della destra era il leader più importante, preconizzava: “Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l’avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarci”. Il grande capo del Msi, che sognava un partito che superasse il fascismo (come in effetti è stato), ci vedeva lungo. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando, negli anni Settanta, Ignazio La Russa iniziava le riunioni della segreteria provinciale del Msi di Milano dicendo: “Saluto i camerati e anche Staiti che non è stato invitato”. Ma Staiti di Cuddia era un combattente senza paura, invece La Russa già allora badava alla politica, al territorio. Così oggi, a rivedere a Milano Ignazio La Russa, Riccardo De Corato, Daniela Santanchè, Paola Frassinetti, Viviana Beccalossi, tornare centrali come una decina d’anni fa produce un certo effetto deja vu. Ma non è senza una sua logica.
La Russa, a Milano, c’è sempre stato. Prima e Seconda Repubblica. Ma ora, nel rimescolarsi frenetico della Terza che non è mai nata ma ha partorito il Rosatellum, è rinata la rete di ruoli e potere, di influenza politica, tipica del periodo in cui la destra aveva un unico santo (sant’Ignazio) a cui votarsi. Forse no, non è proprio così, e ammesso che ci sia mai stata una rete, così esplicita: le reti composte dalle persone della destra milanese d’antan non ci sono più. Mancano i legami di forza, i vettori e in buona misura gli interessi e i capitali. Però le persone ci sono ancora. E tornano a pesare. Il motivo è semplice. “Una ragione numerica”, sintetizza Ignazio La Russa, colloquiando col Foglio e intendendo il numero di voti che si raddoppia in chiave nazionale, e triplica in chiave regionale. In più, nel Lazio Fratelli d’Italia dirà la sua eccome alle regionali. Alle politiche, con l’incertezza dei numeri della nuova legge elettorale, ogni seggio avrà un valore. E dunque, saranno d’oro i seggi di FdI. E questo capitale sarà usato anche in Lombardia, dove Roberto Maroni è molto sicuro di battere Giorgio Gori, soprattutto dopo la scelta di Onorio Rosati di candidarsi presidente per Liberi e Uguali di Grasso, spaccando ufficialmente l’elettorato di sinistra. Ma si sa, le sicurezze tendono a svanire nell’imminenza del voto, e tutto può succedere. In più, il quadro generale peserà eccome. Ed ecco, dunque, FdI che esce dall’irrilevanza anche a Milano e zone collegate.
“Anche se per la verità noi irrilevanti non siamo mai stati – risponde sornione più che piccato La Russa – Se soltanto ci avessero dato ascolto Roma forse avrebbe visto un ballottaggio che non consegnava automaticamente la città al Movimento cinque stelle. E ricordo che se Stefano Parisi ci avesse dato ascolto nel ballottaggio e non avesse preso le distanze dalla destra, noi compresi, probabilmente avrebbe vinto il ballottaggio a Milano. La presunta nostra irrilevanza era più nella testa dei nostri alleati, che nella realtà delle cose. In certe città eravamo competitivi nei numeri, in altre nelle idee”. E qui si torna all’inizio, allo strength in numbers californiano: “Non sono cambiate le persone, né le idee, ma le percentuali. I numeri. La nostra crescita lenta ma costante è iniziata 5 anni fa. I sondaggi ci davano bassi, ma nonostante questo handicap siamo entrati in Parlamento. Adesso stiamo tra il 5 e il 6 per cento. Quindi capisco che c’è una attenzione che non dipende dal cambiamento di idee o di persone, ma che dipende dai numeri”.
Adesso il tema della leadership è presente, nel centrodestra. Il vecchio Ignazio la sa lunga e non si scompone: “La campagna elettorale per le elezioni politiche il centrodestra dovrebbe affrontarla più sui contenuti che sulla guerra della leadership. Siamo però disposti a fare la gara a chi ce l’ha più lungo, sapendo che Giorgia essendo donna parte svantaggiata: ma ha lunghe le idee”, gigioneggia a rischio di un’accusa stile #metoo. La Lombardia, in questo scenario, è un tassello importante. “Per le regionali avremo una lista aperta. Dedicheremo il 30 per cento della lista a persone anche non iscritte al partito che si vogliono candidare. Alla fine la valutazione finale la faranno il partito romano e Giorgia Meloni, perché non siamo un partito regionale ma nazionale”.
E qui si apre il capitolo dei nomi, ben illustrato da Andrea Senesi sul Corriere. Riccardo De Corato non avrà probabilmente il seggio alla Camera, ma riproverà in Regione. Viviana Beccalossi, Daniela Santanché, Marco Osnato, Carlo Fidanza, Roberto Jonghi Lavarini invece se lo giocheranno. Per il Senato aspirano Butti, Frassinetti e lo stesso La Russa (“l’avevo detto io che volevo candidarmi al Senato, quando si pensava che al Senato ci sarebbero state le preferenze. Io amo le preferenze”). Di consigliere ne scatterà uno, ma in caso di risultato sopra il 4 per cento, due. Quindi c’è speranza per tutti. Anche per Romano La Russa, il fratello di Ignazio. Pure lui vorrebbe correre per il Pirellone. O – se la Beccalossi dovesse andare a Roma – potrebbe chiedere a Maroni di fare l’assessore esterno. Un ruolo in amministrazione che già ebbe ai tempi di Formigoni. Chissà che cosa ne pensano quelli che se ne sono andati, da Fratelli d’Italia, verso le seconde linee della Lega Nord o di Forza Italia.
“Siamo l’unico partito che ha più culi che poltrone”, volgarizza Ignazio La Russa. E poi si sa, su quelli che se ne sono andati gli eredi di Almirante ricordano le parole post scissione di Democrazia Nazionale di Ernesto De Marzio: “Io preferisco non dedicare alcuna polemica con coloro che se ne sono andati. Mi sono dimenticato i loro nomi, mi sono dimenticato le loro facce”. Una prece.