Non si vive di ricordi. Appunti per Milano
Benvenuti nel 2018, l'anno in cui finisce la luna di miele del modello riformista
C’era una volta la Milano dell’Expo, è stata un successo ma era il 2105. C’era una volta, e c’è tutt’ora, la Milano che funziona e che si fa globale, attrattiva per gli investitori e per chi viene a lavorarci. C’era una volta, e ci sarà sempre più, la Milano glamour, che lo scorso Capodanno ha fatto il record di turisti: non turisti d’affari ma proprio gente venuta qui per festeggiare, per godersi la metropoli. Un po’ più a rilento, avanza la smart city del futuro che tanto piace al sindaco Beppe Sala, e a noi con lui. Però, benvenuti nel 2018: l’anno in cui tutte queste cose, compresa la lunga e fino a qui fortunata luna di miele dell’amministrazione con i suoi cittadini, finiscono. O meglio iniziano ad appannarsi un po’, sfumano nelle cose lontane. E non si vive di ricordi, e a Milano tantomeno di rendita. Insomma quest’anno per Milano, e per la classe politica che la guida, deve essere l’anno della svolta. Prima che qualcosa rallenti, prima che il modello positivo, politico, sociale, interpretato in questi ultimi anni di incrini.
In questa pagina mettiamo l’elenco delle cose positive che accadranno, o potranno accadere, in termini di sviluppo economico soprattutto, nel 2018 di Milano. Dal punto di vista dell’amministrazione e delle imprese, e delle utilities, e nel rutilante mondo della finanza: non facciamo del pessimismo preventivo. Però il mancato arrivo dell’Ema è stato un segnale. Casuale, se si vuole, ma segnale Milano non è sul tetto del mondo, ne deve scalare di grattacieli. Le grandi iniziative promesse all’esordio della nuova giunta e che hanno in se la potenzialità di cambiare, come un potente volano, lo status della metropoli e il suo ruolo, non sono ancora non sono decollate: gli scali ferroviari, il rinnovo delle periferie, “ossessione” di Sala sono ancora in lento rodaggio. Un’altra grande partita come Arexpo è avviata, ve l’abbiamo raccontata, ma il ruolo della “mano pubblica”, il campus universitario, ancora da definire. La buona accoglienza, la buona sicurezza, sono importanti ma non possono essere tutto, per fare di Milano il traino (con autonomia) del paese. Beppe Sala si avvia alla parte cruciale del suo percorso, l’iniziativa spetta a lui e ai suoi collaboratori. Beppe Sala è un sindaco-sindaco, non ama atteggiarsi a politico, il che è anche un buon modo per essere un politico. E non è uno di passaggio, come Giuliano Pisapia, che sdegnò il secondo mandato un po’ per indole, un po’ perché la sua esperienza “arancione” aveva finito la benzina. Sala invece ha già fatto capire che è intenzionato a finire un percorso che prevede lungo: la sua visione della città prevede il tempo di due mandati.
Però, è un anno di voto. Ed è un voto che può cambiare molti destini, anche quelli di Milano, se non immediatamente quello del sindaco. Ma è una contingenza che Sala non può ignorare, perché sarebbe come ignorare il treno che ti sta arrivando addosso. Milano, città di sinistra, città tra le poche dove il 4 dicembre vinse il Sì, forse terrà. Ma il contesto intorno forse no, e la corsa di Giorgio Gori è in salita. Ma forse nemmeno la città terra, dicono i sondaggi, davanti all’onda del centrodestra (meno dei cinque stelle). Porrebbe accadere al sindaco di trovarsi con una città che, nell’urna, ha voltato le spalle alla coalizione che lo ha eletto. Non sfiduciato lui, ma il suo partito di riferimento, e di maggioranza, e i suoi alleati sì. E a Roma, chissà. Sala ha intuito, forse prima di altri, che la fase propulsiva del renzismo era finita, pur sapendo di essere nella città in cui quel riformismo ha in sé le migliori energie. Da tempo ha spiegato che la sinistra che preferisce è inclusiva, dialogante, eccetera. Che segnale vorrà dare alla sinistra riformista in cui comunque, idealmente, milita? Che segnale darà la sinistra riformista che guida Milano, nel 2018 ei grandi cambiamenti?