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Parla Gianni Fava, primo epurato del post Maroni

Paola Bulbarelli

Piccoli segnali dalla guida della Lega ai consiglieri uscenti di fede maroniana: non sarà una passeggiata rientrare al Pirellone. Tra i cacciati c'è pure Galli

Prime vittime collaterali dello tsunami Maroni. Il capogruppo della ormai ex lista Maroni Stefano Bruno Galli, professore universitario, molto stimato dal governatore uscente e architetto del referendum sull’autonomia, non sarà più il capogruppo. A sostituirlo ci sarà il consigliere Marco Tizzoni, commerciante di Rho più in linea con il Segretario. Un piccolo segnale che per i consiglieri uscenti di fede maroniana non sarà una passeggiata rientrare al Pirellone. Ma il professor Galli non è l’unico nel mirino, né il più famoso, nella storia leghista. Oltre al “pasticcio lessicale”, come lo definiscono gli amici, per Attilio Fontana c’è pure un pasticciaccio in salsa mantovana, terra di antico radicamento leghista. La federazione di Mantova ha infatti escluso dalla rosa dei candidati per regionali e politiche Gianni Fava, assessore all’Agricoltura in Regione e antagonista di Matteo Salvini nell’ultimo congresso (“mai pentito d’averlo fatto”).

 


Gianni Fava (foto LaPresse)


 

Fava, che le ha detto Fontana?

“Non l’ho sentito, intelligentemente non si occupa delle beghe di partito, deve provare a fare il presidente e quindi fa bene a starne fuori”. Fontana e Fava si conoscono da tanti anni, si stimano e insieme hanno vissuto la stagione della Lega “quella vera, quella storica che era un movimento post ideologico e pluralista che ha sempre ragionato in termini d’identità e non si è mai preoccupata di orientamenti sessuali, religiosi e tanto meno di questioni etniche”.

 

Insomma, un pezzo di storia leghista come lei rischia di essere silurato (forse domani la decisione del Consiglio federale) e Fontana non batte ciglio?

“Ha altro a cui pensare, deve raccogliere voti”.

 

Si sente la prima vittima del “tradimento” di Maroni?

“Maroni non ha tradito nessuno, non mi sento la prima vittima e non so se sarò l’ultima. E poi vedremo. E’ in atto un tentativo per delegittimarmi che parte da lontano e che avrei preferito evitare. Maroni denunciava da mesi una certa stanchezza e se ci fosse un patto con Berlusconi questo deporrebbe a favore dell’intelligenza di Berlusconi. Se ci fosse un disegno mi chiedo perché io, che sarei il più vicino a lui, sono il primo a pagare. Credo che Maroni sia una delle figure per carisma, serietà e reputazione più spendibili di tutta l’area liberale moderata e nordista. Continuo a definirlo un riservista come succede in Israele quando ti richiamano in servizio. Da lì a trovarci un piano lo vedo complicato”.

 

Però è la Lega del suo territorio ad averle girato le spalle.

“Sette consiglieri su tredici del direttivo provinciale, sei non hanno votato, hanno preso questa decisione che reputo inopportuna perché cinque di quei sette si sono candidati al posto mio. E’ come se al Festival di Sanremo facessimo decidere chi vince ai finalisti escludendo quello che ha avuto più voti dal pubblico”.

 

Il mondo economico mantovano, però, ha immediatamente reagito e il presidente della Camera di Commercio la vorrebbe addirittura ministro.

“La levata di scudi della società civile dimostra che questi giochi nei partiti lasciano il tempo che trovano, non sono apprezzati dall’elettore. Io non ho chiesto un seggio blindato alla Camera, ero disponibile a correre su un collegio per le regionali dove bisogna prendere le preferenze, e dove la Lega non ha mai eletto nessuno. La mia era una sfida a favore del partito, privarsi di un soggetto che può portare voti in un collegio sicuramente perdente e che potrebbe diventare vincente, si chiama autolesionismo”.

 

Certo che la sua lunga vita in Lega non è mai stata facile.

“Sono leghista da sempre, bossiano mai. Mai avuto buoni rapporti con Bossi ma questo non mi ha precluso nulla. Bossi non mi ha mai amato ma mi ha permesso di fare la mia strada. S’incazzava, m’insultava ma io c’ero. Ero su posizioni critiche ma mi ha sempre permesso di dire la mia. Valutava il peso territoriale dei candidati. Quante liti ha avuto Bossi con Tosi, eppure Tosi non è mai stato espulso”.

 

Che consigli le da Maroni dopo quello che è accaduto a Mantova?

“Di prendermi un periodo di pausa, come lui. Nel mio caso rischia di essere una scelta obbligata perché se il partito non mi ricandida sarei fuori”.

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