Viaggio tra gli ex barbari sognanti della Lega, dispersi
La paura della rottamazione salviniana, il sentimento tradito dei maroniani. Niente vento del Nord
"Ma cosa fanno i marinai quando arrivano nel porto / vanno a prendersi l’amore dentro al bar / qualcuno è vivo per fortuna / qualcuno è morto…”. Parafrasando il sublime Lucio Dalla, e al netto dell’evidenza che in Lombardia il mare non c’è, viene da chiedersi, basta bazzicare le vecchie sezioni, conoscerne gli umori, che fine faranno gli ex guerrieri padani, e gli ex “barbari sognanti” che avevano partecipato alla ribellione capeggiata da Bobo Maroni, ramazze alla mano, contro il cerchio magico di Bossi. Solo qualche anno fa. Dopo il passo indietro (ma c’è chi lo chiama peggio) del governatore che ha ceduto il ruolo di candidato alla Regione all’ex sindaco di Varese Attilio Fontana. Il segretario della Lega, Matteo Salvini farà pulizie anticipate di primavera e pare abbia intenzione di rottamare tutti gli aspiranti candidati contrari alla sua linea politica alle elezioni politiche. E a Milano? La trattativa per le liste elettorali in Regione è in pieno fermento, ma gli ex barbari sognanti (era appunto la “corrente” maroniana) che non hanno sposato la linea nazionale e lepenista del segretario federale si aspettano la ghigliottina.
L’ideologo della Lega, il docente Stefano Bruno Galli, convinto autonomista, si tiene alla larga dalle correnti, e finirà nella lista civica a sostegno di Attilio Fontana. Nel frattempo però è già stato vittima di una congiura del suo gruppo consiliare arrivato in Regione nel 2013 con la lista civica in sostegno di Maroni. Galli è stato sostituito da Marco Tizzoni come capogruppo della lista Maroni in Consiglio regionale. Il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, autorevole figura istituzionale e presidente della Lega, che avrebbe voluto e potuto diventare assessore nella giunta guidata da Bobo Maroni, ha dovuto rinunciare alla sua ambizione e ora attende di sapere se sarà rieletto al Senato. Stucchi non ha mai nascosto, da bossiano doc della prima ora, la sua dissidenza verso la tattica politica salviniana e la sua vicinanza a Maroni. E non potendo trovare rifugio in Regione, ora fa affidamento sul suo peso all’interno del partito. Sono ore di trattative serrate. E’ certo, però, che Maroni ha lasciato le sue truppe col cerino in mano. E sebbene (quasi) tutti sapessero della scelta del governatore Roberto Maroni, molti esprimono irritazione e rabbia perché si sentono abbandonati a loro stessi. Non tanto i consiglieri regionali, in maggioranza di fede salviniana, quanto quelli più legati alla figura di Maroni.
Lo scoramento non viene manifestato pubblicamente, ma chi ha seguito Maroni nel duello contro Bossi prima e contro Salvini poi, senza condividere la scelta del segretario di sminuire la questione settentrionale per cercare di creare un partito nazionale, ora si aspetta la decapitazione. Così a Roma, così in Lombardia. Soprattutto chi continua a credere che la madre di tutte le battaglie sia quella autonomista. E ora si sente tradito proprio da Maroni.
Nella base dei militanti, dove non si devono fare calcoli elettorali per il rituale tengo-famiglia, prevalgono due sentimenti: delusione per il ritiro di Maroni che garantiva l’identità leghista e non voleva cedere al populismo destrorso, e al contempo la speranza – forse solo un sogno di barbari –che Bobo abbia presto un ruolo chiave nella nuova compagine di governo, nel caso di vittoria del centrodestra alle elezioni politiche. Lo considerano ora l’unico in grado di difendere l’autonomia lombarda con il suo passo felpato e la capacità di mediazione perché da sempre apprezzato in modo trasversale da tutti i partiti. Del resto, dopo la rielezione di Matteo Salvini come segretario federale che ha sconfitto lo sfidante Gianni Fava, a Milano 70 militanti di fede maroniana erano già stati puniti. E declassificati da militanti a soci-sostenitori. Quindi le truppe “barbare” erano già allo sbaraglio.
Cosa succede nelle sezioni? Si sta andando verso una resa dei conti, ci raccontano. Alcuni hanno scelto stare allineati e coperti, altri di scendere sul campo di battaglia. Nicola Molteni è in Lega dal 1995, alla seconda legislatura in Parlamento, era uno barbari sognanti (fra cui c’era lo stesso Salvini, le cose cambiano) e oggi per la Lega segue sia il tema della giustizia sia quello dell’immigrazione. Per Maroni ha solo parole di stima: “Grande ministro, grande governatore” eccetera, ma nega la spaccatura, la guerra intestina e liquida la severa sentenza di Bobo Maroni nell’intervista al Foglio (“Salvini con me si è comportato come uno stalinista”) come un semplice sfogo, come dichiarato dallo stesso governatore uscente successivamente. Come se il navigato Bobo Maroni fosse uno che va sui giornali a sfogarsi, manco fossero dei confessionali, mentre invece “da sempre lancia il sasso nello stagno, poi nasconde una mano mentre nell’altra tiene la pistola”, osserva un dirigente maroniano milanese. Ora bisognerà attendere la formazione delle liste perché l’ultima parola spetta al segretario federale, ma il conflitto si esprime attraverso due correnti di pensiero. Fra coloro convinti che Salvini non manderà (quasi) nessuno sul patibolo dei giacobini e quelli che al contrario se lo aspettano. Anche i militanti espulsi interpellati dal Foglio preferiscono non esporsi, ma ci confermano un dissidio aperto nelle sezioni del partito. Nella Lega, già Nord, tutti compatti, ma solo a parole. Nei fatti, anche a Milano, la guerra invece è appena cominciata.